Dettaglio legge regionale

Dettaglio legge regionale
Titolo Disposizioni finanziarie varie. Modifiche di norme.
Regione Sicilia
Estremi Legge n. 25 del 21-11-2023
Bur n. 49 del 24-11-2023
Settore Politiche economiche e finanziarie
Delibera C.d.M. 01-01-0001 / Non impugnata
La legge regionale Sicilia 21 novembre 2023, n. 25, recante “Disposizioni finanziarie varie. Modifiche di norme”, presenta aspetti di illegittimità costituzionale relativamente alle previsioni contenute nell’articolo 3 che, per le motivazioni di seguito riportate, eccedono dalle competenze attribuite alla Regione Siciliana dallo Statuto Speciale di autonomia, R.D.Lgs. 15 maggio 1946, n. 455, convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2.

L’articolo 3 della legge regionale di cui trattasi (rubricato “Interventi di manutenzione idraulica di fiumi e specchi acquei”), sostituisce interamente l’articolo 8 (rubricato “Interventi di manutenzione idraulica di fiumi e specchi acquei”) della legge regionale del 15 maggio 1991, n. 24 (recante “Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 9 dicembre 1980, n. 127, in ordine ai giacimenti minerari da cava”) che, nella versione previgente, così recitava:

“Articolo 8 - Interventi di manutenzione idraulica di fiumi e specchi acquei”

1. Sono vietati prelievi dei materiali negli alvei dei fiumi, canali, zone golenali fondali lacustri, fondali marini sottocosta, fasce costiere marine e lacustri naturali ed artificiali.
2. L’autorità preposta alla manutenzione idraulica dei corsi d’acqua progetta l’eventuale rimozione di depositi necessari alla sicurezza del corso d’acqua e ne dispone l’esecuzione con pubblico appalto ai sensi della normativa vigente stabilendone tutte le prescrizioni, comprese le misure topografiche e batimetriche sistematiche e le cauzioni legali necessarie alla copertura di eventuali danni ed eventuali proventi derivanti da riutilizzo a scopi privati dei materiali rimossi (Titolo 3, Tipologia 100).»”.

Il nuovo articolo 8 della legge regionale del 15 maggio 1991, n. 24, così come novellato dall’articolo 3 della legge regionale Sicilia n. 25 del 2023, così dispone:

“Art. 8 Interventi di manutenzione idraulica di fiumi e specchi acquei”

“1. Sono consentiti, esclusivamente per garantire la risagomatura degli alvei finalizzata al mantenimento del regolare deflusso delle acque, i prelievi dei materiali inerti negli alvei dei fiumi, canali, zone golenali, fondali lacustri, fondali marini sotto costa, fasce costiere marine e lacustri naturali e artificiali.
2. L’autorità preposta alla manutenzione idraulica dei corsi d’acqua autorizza l’esecuzione dei prelievi, nel rispetto della normativa sui contratti pubblici, con finalità mirate a garantire la funzionalità idraulica e la preservazione degli ecosistemi fluviali e marini, previa presentazione di apposito studio idraulico, stabilendone tutte le prescrizioni tecniche, comprese le misure topografiche e batimetriche sistematiche, le cauzioni legali necessarie alla copertura di eventuali danni e il versamento degli oneri finalizzati all’utilizzo dei depositi di inerti alluvionali e alla vigilanza sulle attività di prelievo (Titolo 3, Tipologia 100).
3. Fuori dalle ipotesi di cui al comma 2, l’autorità preposta alla manutenzione idraulica dei corsi d’acqua progetta l’eventuale rimozione di depositi necessari alla sicurezza del corso d’acqua e ne dispone l’esecuzione con pubblico appalto ai sensi della normativa vigente stabilendo tutte le prescrizioni, comprese le misure topografiche e batimetriche sistematiche e le cauzioni legali necessarie alla copertura di eventuali danni ed eventuali proventi derivanti da riutilizzo a scopi privati dei materiali rimossi (Titolo 3, Tipologia 100).”.

Orbene, appare evidente come, per effetto della modifica legislativa, la previsione generale di divieto di prelievo dei materiali muta in una previsione generale di assenso ai prelievi, seppur “[…] esclusivamente per garantire la risagomatura degli alvei finalizzata al mantenimento del regolare deflusso delle acque […]”. L’autorizzazione ai prelievi viene limitata, per un verso, dalla finalità di garantire la risagomatura degli alvei (cfr. comma 1), per altro verso dalle finalità di garantire la funzionalità idraulica e la preservazione degli ecosistemi fluviali e marini, previa presentazione di apposito studio idraulico, stabilendone tutte le prescrizioni tecniche, comprese le misure topografiche e batimetriche sistematiche (cfr. comma 2).
Le disposizioni di cui all’articolo 3 della legge regionale Sicilia risultano illegittime in quanto violano la competenza statale esclusiva in materia di “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” di cui agli articoli 9 e 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione, le cui norme statali interposte sono recate dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (c.d. Codice dell’Ambiente) e, in particolare, dall’articolo 117, comma 2-quater il quale prevede che “Al fine di coniugare la prevenzione del rischio di alluvioni con la tutela degli ecosistemi fluviali, nell’ambito del Piano di gestione, le Autorità di bacino, in concorso con gli altri enti competenti, predispongono il programma di gestione dei sedimenti a livello di bacino idrografico, quale strumento conoscitivo, gestionale e di programmazione di interventi relativo all’assetto morfologico dei corridoi fluviali”.
Nello specifico, il suddetto comma 2-quater dell’articolo 117 del decreto legislativo n. 152 del 2006 chiarisce l’imprescindibilità del programma di gestione dei sedimenti a livello di bacino idrografico, sottolineandone la valenza euro-unitaria; al secondo periodo, infatti, il legislatore statale ha precisato che “I programmi di cui al presente comma sono redatti in ottemperanza agli obiettivi individuati dalle direttive 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2000, e 2007/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2007, e concorrono all’attuazione dell’articolo 7, comma 2, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, che individua come prioritari, tra le misure da finanziare per la mitigazione del dissesto idrogeologico, gli interventi integrati che mirino contemporaneamente alla riduzione del rischio e alla tutela e al recupero degli ecosistemi e della biodiversità.”.
Per apprezzare il minore livello di tutela ambientale previsto dalla modifica normativa regionale rispetto a quanto previsto dalla norma interposta statale recata dal sopracitato comma 2-quater, dell’articolo 117 del decreto legislativo n. 152 del 2006, è sufficiente rilevare che, in base a quest’ultimo:

“Il programma di gestione dei sedimenti è costituito dalle tre componenti seguenti:

a) definizione di un quadro conoscitivo a scala spaziale e temporale adeguata, in relazione allo stato morfologico attuale dei corsi d’acqua, alla traiettoria evolutiva degli alvei, alle dinamiche e quantità di trasporto solido in atto, all’interferenza delle opere presenti con i processi morfologici e a ogni elemento utile alla definizione degli obiettivi di cui alla lettera b);
b) definizione, sulla base del quadro conoscitivo di cui alla lettera a), di obiettivi espliciti in termini di assetto dei corridoi fluviali, al fine di un loro miglioramento morfologico ed ecologico e di ridurre il rischio idraulico; in questo ambito è prioritario, ovunque possibile, ridurre l’alterazione dell’equilibrio geomorfologico e la disconnessione degli alvei con le pianure inondabili, evitando un’ulteriore artificializzazione dei corridoi fluviali;
c) identificazione degli eventuali interventi necessari al raggiungimento degli obiettivi definiti alla lettera b), al loro monitoraggio e all’adeguamento nel tempo del quadro conoscitivo; la scelta delle misure più appropriate tra le diverse alternative possibili, incluso il non intervento, deve avvenire sulla base di un’adeguata valutazione e di un confronto degli effetti attesi in relazione ai diversi obiettivi, tenendo conto di un orizzonte temporale e spaziale sufficientemente esteso; tra gli interventi da valutare deve essere data priorità alle misure, anche gestionali, per il ripristino della continuità idromorfologica longitudinale, laterale e verticale, in particolare al ripristino del trasporto solido laddove vi siano significative interruzioni a monte di tratti incisi, alla riconnessione degli alvei con le pianure inondabili e al ripristino di più ampi spazi di mobilità laterale, nonché alle misure di rinaturazione e riqualificazione morfologica; l’eventuale asportazione locale di materiale litoide o vegetale o altri interventi di artificializzazione del corso d’acqua devono essere giustificati da adeguate valutazioni rispetto alla traiettoria evolutiva del corso d’acqua, agli effetti attesi, sia positivi che negativi nel lungo periodo, rispetto ad altre alternative di intervento; all’asportazione dal corso d’acqua è da preferire comunque, ovunque sia possibile, la reintroduzione del materiale litoide eventualmente rimosso in tratti dello stesso adeguatamente individuati sulla base del quadro conoscitivo, in coerenza con gli obiettivi in termini di assetto del corridoio fluviale.”.
Inoltre, i programmi di gestione dei sedimenti di bacino idrografico, si legge nel medesimo comma 2-quater, “[…] concorrono all’attuazione dell’articolo 7, comma 2, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, che individua come prioritari, tra le misure da finanziare per la mitigazione del dissesto idrogeologico, gli interventi integrati che mirino contemporaneamente alla riduzione del rischio e alla tutela e al recupero degli ecosistemi e della biodiversità […]”. Ebbene, la coerenza sistemica che intercorre tra le previsioni normative nazionali ed europee appare ancor più evidente riscontrando quanto prevede l’articolo 7, comma 2, del citato decreto-legge n. 13 del 2014 (rubricato “Norme in materia di gestione di risorse idriche. Modifiche urgenti al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, per il superamento delle procedure di infrazione 2014/2059, 2004/2034 e 2009/2034, sentenze C-565-10 del 19 luglio 2012 e C-85-13 del 10 aprile 2014; norme di accelerazione degli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico e per l’adeguamento dei sistemi di collettamento, fognatura e depurazione degli agglomerati urbani; finanziamento di opere urgenti di sistemazione idraulica dei corsi d’acqua nelle aree metropolitane interessate da fenomeni di esondazione e alluvione”), nella parte in cui (precisamente al comma 2, sesto periodo) recita: “Gli interventi sul reticolo idrografico non devono alterare ulteriormente l’equilibrio sedimentario dei corsi d’acqua, bensì tendere ovunque possibile a ripristinarlo, sulla base di adeguati bilanci del trasporto solido a scala spaziale e temporale adeguata.”.
Ciò fa risaltare, al contrario, l’incoerenza della nuova previsione dell’articolo 3 della l.r. n. 25 del 2023 rispetto al vigente quadro normativo.
La nuova previsione normativa regionale si limita, infatti, a garantire il “[…] mantenimento del regolare deflusso delle acque”, la “[…] funzionalità idraulica e la preservazione degli ecosistemi fluviali e marini” senza tuttavia nulla prevedere in merito alla corretta gestione dei sedimenti a livello di bacino idrografico.
La garanzia della funzionalità idraulica e della preservazione degli ecosistemi fluviali può essere garantita, unitamente al riequilibrio del bilancio dei sedimenti, solo dall’Autorità di bacino, la quale opera a livello di bacino idrografico, a differenza dell’autorità preposta alla manutenzione idraulica dei corsi d’acqua, prevista dalla norma regionale, la quale può invece variare sui diversi tratti del fiume.
La modifica apportata dall’articolo 3 della legge regionale Sicilia n. 25 del 2023, invece, consente il prelievo di materiali sciolti esclusivamente per garantire la risagomatura degli alvei ai fini della funzionalità idraulica e nel rispetto degli ecosistemi presenti.
Questa tipologia di azione è alquanto inusuale in quanto, al fine di non incrementare il già elevato fenomeno di erosione costiera, non si dovrebbe prevedere il prelievo, bensì la traslazione dei sedimenti al fine di migliorare la ricostruzione naturale degli arenili erosi.
Il prelievo potrebbe comportare un notevole danno ambientale all’assetto geomorfologico dei corsi d’acqua e un mancato apporto solido verso le coste, già sottoposte a forte arretramento proprio per riduzione di apporto solido.
Tale azione, inoltre, potrebbe rivelarsi in contrasto con l’articolo 97 del Regio decreto 25 luglio 1904, n. 523 (recante “Testo unico delle disposizioni di legge intorno alle opere idrauliche delle diverse categorie”), a norma del quale: “Sono opere ed atti che non si possono eseguire se non con speciale permesso del prefetto e sotto l’osservanza delle condizioni dal medesimo imposte, i seguenti […]:
m) l’estrazione di ciottoli, ghiaia, sabbia ed altre materie dal letto dei fiumi, torrenti e canali pubblici, eccettuate quelle località ove, per invalsa consuetudine si suole praticare senza speciale autorizzazione per usi pubblici e privati. Anche per queste località però l’autorità amministrativa limita o proibisce tali estrazioni ogniqualvolta riconosca poterne il regime delle acque e gl’interessi pubblici o privati esserne lesi;”.
Anche volendo privilegiare un’interpretazione sistematica e conforme di quest’ultima norma, che ne limiti la cogenza alla luce del disposto del successivo decreto legislativo n. 152 del 2006, pare imprescindibile ricongiungersi, ancora una volta, alla previsione dell’art. 117 comma 2-quater, e, quindi, al programma di gestione dei sedimenti a livello di bacino idrografico.
Quanto al valore del programma di gestione dei sedimenti a livello di bacino idrografico, si precisa che esso è previsto nell’ambito del Piano di gestione, e questo rappresenta articolazione interna del Piano di bacino distrettuale di cui all’articolo 65 decreto legislativo n. 152 del 2006.
Il Piano di bacino distrettuale ha valore di piano territoriale di settore (sul valore del Piano di bacino si veda, ad esempio, Corte costituzionale, sentenza n. 168 del 2010 e n. 232 del 2009).
Si rammenta, inoltre, che la medesima Corte costituzionale (così nella sentenza n. 85 del 1990) ha chiarito che “[…] il fine conservativo dei piani di bacino comporta la loro posizione pregiudiziale e condizionante rispetto agli usi del territorio a fini urbanistici, civili, di sfruttamento dei materiali e di produzione […]”.
Da tutto quanto esposto, l’articolo 3 della legge regionale in oggetto è in contrasto con gli artt. 9 e 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione e, quali norme interposte, con l’articolo 97 del Regio decreto 25 luglio 1904, n. 523 e con l’art. 117 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
I parametri interposti sopra richiamati rappresentano norme fondamentali di riforma economico- sociale della Repubblica il cui rispetto si impone anche alla potestà legislativa esclusiva della Regione ai sensi dell’art. 14, lett. i), dello Statuto speciale in materia di “acque pubbliche, in quanto non siano oggetto di opere pubbliche d’interesse nazionale”.
Sul punto, la Corte costituzionale ha riconosciuto alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema ex art. 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione la caratteristica di materia “trasversale a natura finalistica”, ovverosia di materia non individuata per l’oggetto, ma per il fine che mediante la sua attribuzione deve essere perseguito, e quindi idonea a investire tutte le materie, anche di spettanza regionale (ex multis, sentenza n. 9 del 2013 e n. 14 del 2004.), “[…] dal momento che non sembra configurabile come sfera di competenza statale rigorosamente circoscritta e delimitata, giacché, al contrario, essa investe e si intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze […]” (cfr. sentenza n. 407 del 2002).
In questo modo, è possibile che “[…] la disciplina statale nella materia della tutela dell’ambiente venga a funzionare come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza, salva la facoltà di queste ultime di adottare norme di tutela ambientale più elevata nell’esercizio di competenze, previste dalla Costituzione, che concorrano con quella dell’ambiente […]” (cfr. sentenza n. 199 del 2014).

Per questi motivi, la legge regionale deve quindi essere impugnata, limitatamente alla norma indicata, ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione, per violazione dei parametri costituzionali dinanzi citati.

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