Dettaglio legge regionale

Dettaglio legge regionale
Titolo “Tutela della retribuzione minima salariale nei contratti della Regione Puglia”.
Regione Puglia
Estremi Legge n. 30 del 21-11-2024
Bur n. 95 del 25-11-2024
Settore Politiche socio sanitarie e culturali
Delibera C.d.M. 23-01-2025 / Impugnata


La suddetta legge, concernente interventi finalizzati alla tutela della retribuzione minima salariale nei contratti della Regione Puglia, prevede all’art. 2, comma 1, che la Regione, le aziende sanitarie locali, le aziende ospedaliere, le Sanitaservice, le agenzie regionali e tutti gli enti strumentali regionali indichino in tutte le procedure di gara, in coerenza con quanto previsto all’articolo 11 del decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36 (Codice dei contratti pubblici), che al personale impiegato nei lavori, servizi e forniture oggetto di appalti pubblici e concessioni, sia applicato il contratto collettivo maggiormente attinente alla attività svolta, stipulato dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative, salvo restando i trattamenti di miglior favore.

L’art. 2, comma 2, poco dopo la sua entrata in vigore, è stato novellato dalla legge della Regione Puglia del 29 novembre 2024, n. 39, il cui articolo 21 ha sostituito il riferimento al “trattamento economico minimo” con “una retribuzione minima tabellare”.

In particolare, il citato comma 2, nella sua formulazione vigente, pone in capo alle predette stazioni appaltanti l’obbligo di verificare che i contratti collettivi indicati nelle procedure di gara prevedano una retribuzione minima tabellare inderogabile pari a € 9,00 l’ora.

Ebbene, l’articolo 2, comma 2, della legge della Regione Puglia n. 30 del 2024, nello stabilire che i contratti indicati nelle procedure di gara debbano prevedere una retribuzione minima tabellare inderogabile (€ 9,00 l’ora), si pone in contrasto con l’articolo 36, primo comma Cost., in quanto l’ordinamento italiano non prevede un salario minimo stabilito dalla legge o da altre disposizioni giuridiche vincolanti, nonché con l’art. 39, ultimo comma, Cost., in quanto stabilisce una soglia salariale di riferimento che, oltre ad essere sottratta alla potestà del legislatore regionale, risulta in contrasto con i parametri di cui alla stessa norma costituzionale, posti a presidio dell’autonomia della contrattazione collettiva.

Al riguardo, si rappresenta che, allo stato attuale, l’ordinamento italiano non prevede un salario minimo stabilito dalla legge o da altre disposizioni giuridiche vincolanti e che, inoltre, la materia delle retribuzioni è al momento regolata unicamente dalla contrattazione collettiva, nel rispetto dei principi stabiliti dall’art. 36 della Costituzione.

La tematica del salario minimo, inoltre, è stata oggetto di specifica normativa a livello europeo, con l’adozione della direttiva (UE) 2022/2041, relativa ai salari minimi adeguati nell’Unione Europea. Tale direttiva, seppur finalizzata a garantire ai lavoratori dell’Unione Europea condizioni dignitose, non fissa una soglia retributiva minima, riconoscendo la possibilità che la contrattazione collettiva individui i livelli salariali minimi nei singoli settori.

L’introduzione, a livello regionale, di una retribuzione minima tabellare inderogabile sarebbe, pertanto, in contrasto con i principi costituzionali in materia di retribuzione, oltre al fatto che sarebbe limitativo della libera concorrenza tra gli operatori economici.

Inoltre, la determinazione del salario minimo, quale aspetto peculiare della regolamentazione del rapporto di lavoro, sia privato che pubblico, è materia riconducibile da un lato all”ordinamento civile” e dall’altro alla “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”, materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato.

Pertanto, la norma in esame si pone in contrasto con l’art.117, secondo comma , lett. l) e m).

La Corte a tal riguardo, si è pronunciata sulle questioni di costituzionalità che diverse Regioni hanno sollevato contro la legge Biagi sulla riforma del mercato del lavoro, muovendo dal riparto di competenze delineato dall’articolo 117, per come scaturito dalla riforma del Titolo V della Costituzione (sentenza n. 50/2005).

Secondo il Giudice delle leggi, ogni norma che disciplina il contratto – inteso anche come fonte regolatrice del rapporto di lavoro subordinato – rientra nella materia dell’ordinamento civile e permane, pertanto, nell’esclusiva potestà del legislatore statale.

Aderendo a tale orientamento, da ritenersi oramai pacifico, è possibile affermare che le Regioni debbano considerarsi estranee alla disciplina del lavoro privato subordinato: non v’è dubbio, infatti, che il contratto di lavoro sia fortemente permeato da esigenze di uniformità ed eguaglianza che ne giustifichino la potestà legislativa statale in via esclusiva ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettere l) e m) della Costituzione.

Nel caso in esame, la legge regionale è, altresì, in contrasto con l’art. 39 Cost.. Essa, infatti, disponendo che i contratti indicati nelle procedure di gara debbano prevedere una retribuzione minima tabellare inderogabile (€ 9,00 l’ora), stabilisce una soglia salariale di riferimento che, oltre ad essere sottratta alla potestà del legislatore regionale, risulta in contrasto con i parametri di cui all’art. 39 della Carta costituzionale, che, come è noto, è posto a presidio dell’autonomia della contrattazione collettiva.

Per tutto quanto sopra esposto l’art. 2, comma 2, della legge regionale in esame deve essere impugnato dinanzi alla Corte costituzionale, ai sensi dell’art. 127 della Costituzione, per contrasto con i seguenti articoli:

Art. 36, primo comma, Cost.;

Art. 39, ultimo comma, Cost.;

Art. 117, secondo comma, lettere l) e m) Cost.
Torna all'inizio del contenuto