Dettaglio legge regionale
Titolo | “Modifiche ed integrazioni alle leggi regionali n. 29/2002, n. 24/2008, n. 8/2010, n. 47/2011, n. 24/2013, n. 9/2018, n. 32/2021, n. 10/2022, n. 9/2023, n. 62/2023, n. 6/2024, e disposizioni normative” |
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Regione | Calabria |
Estremi | Legge n. 36 del 26-11-2024 |
Bur | n. 245 del 26-11-2024 |
Settore | Politiche socio sanitarie e culturali |
Delibera C.d.M. | 23-01-2025 / Impugnata |
La legge della Regione Calabria 26 novembre 2024, n. 36, recante “Modifiche ed integrazioni alle leggi regionali n. 29/2002, n. 24/2008, n. 8/2010, n. 47/2011, n. 24/2013, n. 9/2018, n. 32/2021, n. 10/2022, n. 9/2023, n. 62/2023, n. 6/2024, e disposizioni normative”, nel dettare disposizioni di modifica e integrazione di norme regionali in diverse materie, per le motivazioni di seguito illustrate, presenta profili di illegittimità costituzionale con riferimento all’art. 14, commi 1 e 2. L’articolo in argomento, rubricato “Interventi in materia di salvaguardia ambientale” prevede, al primo comma, che “E' vietata la realizzazione nei parchi nazionali e regionali di impianti di produzione energetica alimentati da biomasse, con sede ricadente nel territorio calabrese, con potenza eccedente 10 MWatt termici” e, al secondo comma, che “Entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge, gli impianti di potenza eccedente i 10 MWatt termici, di cui al comma 1, sono tenuti a ridurre la potenza, uniformandola alla presente disposizione, a pena di decadenza della relativa autorizzazione”, così introducendo un divieto generalizzato alla “realizzazione” di impianti FER (nello specifico quelli alimentati a biomasse) con potenza eccedente i 10 MWatt termici e disponendo (al comma 2) che gli impianti già esistenti o già autorizzati, di potenza eccedente i 10 MWatt termici, devono conformarsi alla disposizione di cui al comma 1, riducendo la potenza, entro sei mesi dalla entrata in vigore della norma, a pena di decadenza dalla relativa autorizzazione. Ciò posto, l’art. 14, commi 1 e 2 della legge in argomento, presenta profili di illegittimità costituzionale in quanto viola l’art. 117, terzo comma, Cost. in relazione ai principi fondamentali posti dallo Stato nella materia di legislazione concorrente “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”, espressi dall’art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità), dal decreto legislativo n. 28 del 2011, dal decreto legislativo n. 199 del 2021, nonchè dal decreto del Ministro dello sviluppo economico del 10 settembre 2010 (Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili), nonché dal decreto del Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica 21 giugno 2024 recante “Disciplina per l’individuazione di superfici e aree idonee per l’installazione di impianti a fonti rinnovabili”. Inoltre, l’art. 14 citato collide con l’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione ai principi espressi dalla direttiva 2018/2001/UE, in linea di continuità con quelli fatti propri dalle direttive 2011/77/CE e 2009/28/CE e la direttiva UE 2023/2413, volte a promuovere la massima diffusione delle energie rinnovabili, violando gli impegni assunti dallo Stato italiano nei confronti dell’Unione europea e a livello internazionale. L’art. 14 citato viola, altresì, la competenza esclusiva statale in materia di “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema” di cui all’art. 117, comma 2, lettera s), ponendosi in contrasto con la specifica disciplina inerente alle aree naturali protette (Parchi nazionali e regionali) di cui alla legge n. 394 del 1991 (Legge quadro sulle aree protette) - che rientra pacificamente tra le materie di competenza esclusiva statale – e, in particolare, con il disposto dell’art. 11, commi 1 e 3, quali norme interposte. Inoltre, l’art. 14, comma 2, applicando il divieto sopra illustrato in maniera retroattiva non solo agli impianti il cui iter di autorizzazione risulti già avviato o anche concluso, ma anche agli impianti in esercizio, pena la decadenza dal medesimo titolo, si pone in contrasto con i principi costituzionali di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., di certezza del diritto e del legittimo affidamento, nonché di libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost.. Sulla violazione dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione. La disciplina introdotta dalla norma in esame risulta costituzionalmente illegittima in quanto contrastante con i principi fondamentali della materia concorrente “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia” di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.. Nelle materie di legislazione concorrente, difatti, spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato, che, per costante giurisprudenza della Corte costituzionale, non tollera eccezioni sull’intero territorio nazionale (cfr. Corte Cost. sentenze n. 69/2018) ed in ogni caso, nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. A questo riguardo, i principi fondamentali della materia concorrente in argomento sono desumibili dal quadro normativo nazionale di riferimento in tema di autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, nonché di individuazione delle aree idonee e non idonee per l'installazione di impianti a fonti rinnovabili e, quindi, dal decreto legislativo n. 387 del 28 dicembre 2003 “Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità”, dal decreto legislativo n. 28 del 3 marzo 2011 “Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE”, dal decreto legislativo n. 199 dell’8 novembre 2021 “Attuazione della direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 dicembre 2018, sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili”. Detti principi fondamentali sono desumibili, inoltre, dalle Linee Guida di cui al D.M. 10 settembre 2010, espressione della leale collaborazione tra Stato e regioni e vincolanti nei confronti di queste, in quanto poste a completamento della normativa primaria in settori squisitamente tecnici, connotate dal carattere della inderogabilità a garanzia di una disciplina uniforme in tutto il territorio nazionale (Corte cost. sentenza n. 27/2023), nonché dal D.M. 21 giugno 2024 “Disciplina per l'individuazione di superfici e aree idonee per l'installazione di impianti a fonti rinnovabili”. Giova, in primo luogo, chiarire che per “superfici e aree non idonee” si intendono, ai sensi dell'articolo 1, comma 2, lett. b) del citato D.M. 21 giugno 2024 , le “aree e siti le cui caratteristiche sono incompatibili con l'installazione di specifiche tipologie di impianti secondo le modalità stabilite dal paragrafo 17 e dall'allegato 3 delle linee guida emanate con decreto del Ministero dello sviluppo economico 10 settembre 2010, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 18 settembre 2010 n. 219 e s.m.i.”. In particolare, la definizione di “area idonea” e “non idonea”, contenuta nel suddetto DM, è strettamente legata alla individuazione delle semplificazioni di cui poter beneficiare ai fini autorizzativi, fermo restando che anche nelle “aree non idonee” nulla vieta agli operatori di poter realizzare impianti di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile. In tal senso, pertanto, l'idoneità dell'area consente, ai sensi dell'articolo 22 del citato d.lgs.199/2021, che “nei procedimenti di autorizzazione di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili su aree idonee, ivi inclusi quelli per l'adozione del provvedimento di valutazione di impatto ambientale, l'autorità competente in materia paesaggistica si esprime con parere obbligatorio non vincolante. Decorso inutilmente il termine per l'espressione del parere non vincolante, l'amministrazione competente provvede comunque sulla domanda di autorizzazione" nonché "i termini delle procedure di autorizzazione per impianti in aree idonee sono ridotti di un terzo”. Ugualmente, anche le menzionate Linee Guida prevedono che “l'individuazione delle aree e dei siti non idonei non deve, dunque, configurarsi come divieto preliminare, ma come atto di accelerazione e semplificazione dell'iter di autorizzazione alla costruzione e all'esercizio, anche in termini di opportunità localizzative offerte dalle specifiche caratteristiche e vocazioni del territorio”. Ora, con specifico riferimento ai principi e criteri individuati all'Allegato 3 delle Linee Guida, si evidenzia che l'individuazione delle aree non idonee da parte delle Regioni “non può riguardare porzioni significative del territorio o zone genericamente soggette a tutela dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio storico-artistico”, dal momento che la tutela di tali interessi è “garantita all'interno del procedimento unico e della procedura di Valutazione dell'Impatto Ambientale nei casi previsti”. Anche nei casi in cui le Regioni possono individuare aree e siti non idonei, l'Allegato 3 rimanda al rispetto delle modalità di cui al paragrafo 17 delle medesime Linee Guida peraltro “in coerenza con gli strumenti di tutela e gestione previsti dalle normative vigenti e tenendo conto delle potenzialità di sviluppo delle diverse tipologie di impianti”. A tal proposito, il paragrafo 17 delle Linee Guida precisa che “l'individuazione della non idoneità dell'area è operata dalle Regioni attraverso un'apposita istruttoria avente ad oggetto la ricognizione delle disposizioni volte alla tutela dell'ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico e artistico, delle tradizioni agroalimentari locali, della biodiversità e del paesaggio rurale che identificano obiettivi di protezione non compatibili con l'insediamento, in determinate aree, di specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti, i quali determinerebbero, pertanto, una elevata probabilità di esito negativo delle valutazioni, in sede di autorizzazione". Le aree non idonee sono quindi individuate dalle regioni “nell'ambito dell'atto di programmazione [e non con legge] con cui sono definite le misure e gli interventi necessari al raggiungimento degli obiettivi di burden sharing”, nel quale devono essere richiamati gli esiti dell'istruttoria svolta. In applicazione di questi principi, in diverse occasioni sono state dichiarate costituzionalmente illegittime discipline regionali che, in contrasto con le Linee Guida, avevano individuato esse stesse le aree inidonee all'installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili (ex multis, sentenze Corte costituzionale n. 121 del 2022, n. 177 del 2021, n. 106 del 2020, n. 86 del 2019 e n. 69 del 2018). In una recente pronuncia, la Corte costituzionale (sentenza n. 216 del 2022) ha ribadito chiaramente che “va dichiarata l'illegittimità costituzionale della legge regionale che individui una serie di aree inidonee alla realizzazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili (nella specie impianti fotovoltaici a terra di potenza superiore a 1 MW). Si tratta, difatti, di disposizione che si pone in contrasto con le dette linee guida ministeriali, secondo cui (par. 17) la dichiarazione di inidoneità di aree e siti “alla installazione di specifiche tipologie di impianti” deve risultare quale provvedimento finale di un'istruttoria (destinata a sfociare non già in una legge, ma in un atto di programmazione avente natura di provvedimento amministrativo) volta a prendere in considerazione, alla luce della specificità dei luoghi, tutti gli interessi coinvolti (massima diffusione delle energie rinnovabili, nonché tutela del paesaggio, del patrimonio storico e artistico, delle tradizioni agroalimentari locali, della biodiversità e del paesaggio rurale)”. Appare pertanto evidente l'illegittimità dell'art. 14 in esame nella parte in cui introduce, a priori, un divieto alla realizzazione e all'installazione di una specifica tipologia di impianto FER (biomasse con potenza superiore a 10 MW) in una determinata area. La normativa regionale risulta quindi incostituzionale, in quanto viola l'art.117, comma 3, della Costituzione e i principi fondamentali statali in materia di energia (dettati dai sopra citati DD. Lgs. n. 387 del 2003, n. 28 del 2011 e n. 199 del 2021). La Corte costituzionale (ex multis, sentenza n. 121 del 2022) ha infatti chiarito che i limiti ad impianti FER non possono essere imposti aprioristicamente, ma devono derivare da valutazioni caso per caso nell'ambito dei procedimenti autorizzativi. Fermo quanto sopra, anche l'individuazione di aree non idonee - ove come tale possa essere interpretata la legge in parola - richiede un'istruttoria specifica e complessa, come stabilito dalle citate Linee Guida di cui al DM 10 settembre 2010, cui rinvia anche il D.M. 21 giugno 2024, e non può essere effettuata neppure tramite legge regionale, senza rispettare tali procedure (sul punto Corte costituzionale, Sentenza n. 216/2022). Inoltre, in ogni caso, le aree non idonee non possono consistere in esclusioni assolute, ma sono solo delle prevalutazioni da verificare nel concreto del caso specifico. Sulla violazione dell’art. 117, comma 1, Cost.. L’art. 14 viola altresì anche l'articolo 117, comma 1, della Costituzione in quanto le normative regionali devono rispettare le direttive comunitarie (direttiva 2001/77/ CE, la direttiva 2009/28/ CE, la direttiva UE 2018/2001 e la direttiva UE 2023/2413) - recepite rispettivamente con i citati decreti legislativi n. 387 del 2003, n. 28 del 2011, n. 199 del 2021- volte a promuovere la massima diffusione delle energie rinnovabili, come evidenziato dalla giurisprudenza costituzionale. In sostanza, poiché la normativa statale evocata alla stregua di parametro interposto è attuativa di previsioni del diritto dell’Unione Europea, la norma in argomento violerebbe, al contempo, l’art. 117, primo comma, Cost.. Al riguardo, da ultimo con sentenza n. 27/2023, la Consulta ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della moratoria prevista da una legge della Regione Abruzzo che sospendeva l'autorizzazione di nuovi impianti alimentati da energie rinnovabili in attesa dell'individuazione delle c.d. aree idonee. In particolare, secondo la Corte, “la possibilità di prevedere limiti alla facoltà di autorizzare l'installazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, secondo quanto dispone l'art. 19, comma 2, della legge reg. Abruzzo n. 5 del 2022, si pone, in aperto contrasto anche con l'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'obiettivo di garantire la massima diffusione degli impianti da fonti di energia rinnovabili, perseguito sia dalla direttiva 2009/28/CE, e già prima da 2001/77/CE, sia dalla direttiva 2018/2001/ UE. Simile finalità, riflessa nella disciplina dettata dalle citate direttive in materia di procedure di autorizzazione, certificazione e rilascio delle licenze, viene chiaramente esplicitata dalla 2018/2001/ UE, ove si evidenzia che il «maggiore ricorso all'energia da fonti rinnovabili o all'energia rinnovabile costituisce una parte importante delle misure necessarie per ridurre le emissioni di gas a effetto serra e per rispettare gli impegni dell'Unione nel quadro dell'accordo di Parigi del 2015 sui cambiamenti climatici, a seguito della 21a Conferenza delle parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici ("accordo di Parigi")» (considerando n. 2). Occorre, dunque, ribadire, in linea con numerosi precedenti di questa Corte, la necessità di garantire la «massima diffusione degli impianti da fonti di energia rinnovabili» (sentenza n. 286 del 2019, in senso analogo, ex multis, sentenze n. 221, n. 216 e n. 77 del 2022, n. 177 del 2021, n. 106 del 2020, n. 69 del 2018, n. 13 del 2014 n. 44 del 2011 "nel comune intento di ridurre le emissioni di gas ad effetto serra" (sentenza n. 275 del 2012; nello stesso senso, sentenze n. 46 del 2021, n. 237 del 2020, n. 148 del 2019 e n. 85 del 2012), onde contrastare il riscaldamento globale e i cambiamenti climatici (sentenza n. 77 del 2022)» (sentenze n. 216 e n. 121 del 2022)”. Sulla violazione dell’art. 117, comma 2, lett. s) Cost.: L'articolo 14 in esame viola altresì la competenza esclusiva statale in materia di «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema» di cui all'art. 117, comma 2, lettera s), Cost.. Giova, innanzitutto, premettere che in materia di legislazione esclusiva la “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”, di cui all’art. 117, comma 2, lett. s), della Costituzione, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, non costituisce una materia in senso tecnico “[…] dal momento che non sembra configurabile come sfera di competenza statale rigorosamente circoscritta e delimitata, giacché, al contrario, essa investe e si intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze” (cfr sentenza n. 407 del 2002). L’ambiente è un “[…] valore costituzionalmente protetto, che, in quanto tale, delinea una sorta di materia “trasversale”, in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, che ben possono essere regionali, spettando allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull’intero territorio nazionale” (cfr sentenze n. 171 del 2012 e n. 407 del 2002; nello stesso senso, sent. n. 210 del 2016). In questo modo, è possibile che “[..] la disciplina statale nella materia della tutela dell’ambiente venga a funzionare come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materia di loro competenza, salva la facoltà di queste ultime di adottare norme di tutela ambientale più elevata nell’esercizio di competenze, previste dalla Costituzione, che concorrano con quella dell’ambiente” (cfr sentenza n. 199 del 2014). Ciò premesso, in materia di tutela ambientale, in quanto materia “trasversale”, secondo l’insegnamento della Consulta, alle Regioni è consentito intervenire a tre condizioni, ovverosia ove la tutela ambientale: a) sia effetto indiretto e marginale della disciplina adottata dalla Regione nell'esercizio di una propria legittima competenza» (sia essa concorrente od esclusiva) (si veda in particolare, Corte cost. sent. n. 12/2009); b) sia realizzata per innalzare e mai per diminuire gli standard di tutela ambientale; c) non comprometta «un punto di equilibrio tra esigenze contrapposte espressamente individuato dalla norma dello Stato». L'articolo 14 della legge in esame, anche ammesso che assicuri uno standard di tutela ambientale maggiore rispetto alla disciplina statale (cosa che comunque non è prospettabile, atteso che gli interessi ambientali risultano ampiamente tutelati nel procedimento autorizzatorio degli impianti FER, nell'ambito del quale la stessa regione o, a seconda dei casi, lo Stato, si esprimono mediante la VIA o per la tutela storico-paesaggistica), non pare all'evidenza rispettare i citati criteri sub a) e c). In primo luogo, la “tutela ambientale” assicurata dalla Regione nel caso di specie non è un effetto indiretto e marginale della disciplina adottata dalla stessa nell'esercizio di una propria legittima competenza, bensì un effetto diretto e non certo marginale di una norma regionale adottata proprio in materia di tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali, materia, come detto, attribuita alla competenza esclusiva dello Stato (art. 117, co. 2, lett. s). In secondo luogo, la norma regionale compromette il punto di equilibrio già individuato dalla disciplina legislativa statale (e, in particolare, i citati decreti legislativi n. 387 del 2003, n. 28 del 2011 e n. 199 del 2021) tra l'esigenza di tutela dell'ambiente e quella contrapposta della massima diffusione delle energie rinnovabili. In conclusione, la legge regionale Calabria n. 36 del 2024, laddove all'articolo 14 introduce delle limitazioni alla potenza degli impianti alimentati a biomassa, senza tenere conto del giusto equilibrio tra l'interesse alla tutela ambientale e quello alla massima diffusione delle energie rinnovabili (predeterminato dallo Stato), all'asserito fine di garantire una maggiore tutela ambientale (non quale effetto indiretto di una disciplina rimessa alla propria potestà legislativa, bensì intervenendo direttamente in una materia di potestà esclusiva dello Stato) si pone quindi in contrasto con i canoni costituzionali enunciati dalla Corte costituzionale in relazione al corretto riparto di competenze nella materia di "tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali" in violazione dell'art. 117, co. 2, lett. s), della Costituzione. Inoltre, sotto altro profilo, preme segnalare l'articolo 14 in esame introduce espressamente un divieto specifico di realizzazione, al comma 1, e l'obbligo di adeguamento per quegli esistenti, al comma 2, di impianti di produzione energetica alimentati da biomasse, con potenza eccedente 10 MW termici situati nei parchi nazionali e regionali, all'interno del territorio calabrese. La suddetta disposizione si pone quindi in contrasto anche con la specifica disciplina inerente alle aree naturali protette (Parchi nazionali e regionali), di cui alla legge n. 394 del 1991 ("Legge quadro sulle aree protette"), che rientra pacificamente tra le materie di competenza esclusiva statale. La Corte costituzionale (Cfr. Sentenza n. 206/2018) ha da tempo chiarito che “La disciplina delle aree naturali protette statali (volta alla salvaguardia e valorizzazione dei territori che presentano valori culturali, paesaggistici ed ambientali meritevoli di protezione) attiene come già più volte affermato alla tutela dell'ambiente e dell'ecosistema (sentenze n. 12 de/ 2009, n. 387 de/ 2008, n. 422 del 2002) e rientra ora nella competenza legislativa esclusiva dello Stato di cui all'art. 11 7 secondo comma, lettera s) della Costituzione”. A questi effetti vengono, appunto, in rilievo gli standard di tutela uniformi fissati dalla richiamata legge quadro sulle aree protette citata che, per quanto qui di interesse, definisce i parchi nazionali come quelle aree “(..) tali da richiedere l'intervento dello Stato ai fini della loro conservazione per le generazioni presenti future” (art. 2, comma 1). La stessa Corte costituzionale ha, infatti, affermato che “Con specifico riferimento alle aree protette e ai parchi naturali, il modello di tutela è contenuto nella legge n. 394 del 1991 che detta «i principi fondamentali della materia, ai quali a legislazione regionale è chiamata ad adeguarsi, assumendo dunque anche i connotati di normativa interposta (sentenze n. 14 del 2012, n. 108 del 2005 e n. 282 del 2000)”(sentenza n. 212 de/ 2014); “tale modello è imperniato sull'esistenza di un ente gestore dell'area protetta, sulla predisposizione di strumenti programmatici e gestionali e sulla funzione di controllo del loro rispetto, attribuita all'ente gestore, e tali prescrizioni integrano lo standard minimo uniforme di tutela nazionale (sentenza n. 121 de/2018).” (Corte cost. sent. n. 158/2021). A tal riguardo si fa presente che l'articolo 11, comma 1, della legge n. 394 del 1991 prevede che l'esercizio delle attività consentite all'interno nel parco nazionale sia disciplinato con regolamento adottato dall'ente parco, così imponendo una c.d. “riserva di amministrazione”. Inoltre, il comma 3 dell'articolo 11 prevede, invece, un elenco di attività espressamente vietate e, tra queste, non figura l'installazione di impianti per la produzione di energia rinnovabile che, dunque, non possono nemmeno essere sottoposti a limiti di potenza. Anche sotto tale profilo, la norma regionale si pone in contrasto con il disposto dell'articolo 11, commi 1 e 3, della legge n. 394 del 1991, quali norme interposte, così violando l'articolo 117, comma 2, lett. s), della Costituzione che riserva alla potestà legislativa statale la disciplina delle aree protette e una riserva di amministrazione, in favore dell'ente parco, per la disciplina delle attività consentite. Sulla violazione degli artt. 3 e 41 Cost.. Infine, vanno esaminati i profili di criticità attinenti a quanto prescritto, in particolare, dal comma 2 dell’art. 14, che impone, entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge, la riduzione della potenza, uniformandola alla presente disposizione, per gli impianti con potenza eccedente i 10 MWatt termici, a pena di decadenza della relativa autorizzazione. Al riguardo, si evidenzia che il divieto sopra illustrato si applicherebbe in maniera “retroattiva” con effetto “conformativo”, non solo agli impianti il cui iter di autorizzazione risulti già avviato o anche concluso, ma, addirittura, anche agli impianti in esercizio, pena infatti - come si legge nella previsione normativa del legislatore regionale - la decadenza dal medesimo titolo. Il legislatore regionale, dunque, anziché salvaguardare le iniziative già avviate degli operatori, introducendo, ad esempio, un regime transitorio in cui tale divieto non trovi applicazione, impone, con irrimediabile compromissione dei principi costituzionali di uguaglianza (di cui all'articolo 3 della Costituzione), di certezza del diritto e del legittimo affidamento, nonché di libertà di iniziativa economica (di cui all'articolo 41 della Costituzione), nel campo della produzione energetica da fonti rinnovabili, una applicazione retrodatata degli effetti derivanti dalla prescrizione, richiedendo che entro sei mesi dalla entrata in vigore della legge in oggetto gli impianti di potenza eccedente i 10 MW siano tenuti a ridurne la potenza. La disciplina regionale in esame costituisce tecnicamente una ipotesi di “retroattività impropria”. La giurisprudenza costituzionale ha indicato in più occasioni che non è impedita al legislatore l'approvazione di previsioni con effetto retroattivo. Ciò può avvenire, tuttavia, a condizione che tali disposizioni non trasmodino in un “regolamento irrazionale”, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l'affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica. E sulla base di tali principi, dunque, che deve essere valutata la ragionevolezza della disposizione della legge in esame, con la precisazione che la norma regionale interviene su un numero particolarmente limitato di impianti esistenti (al momento soltanto l'impianto Mercure risulta rientrare nell'ambito di applicazione dell'articolo 14, comma 2), in quanto contiene previsioni “di contenuto particolare e concreto” che incidono “su un numero limitato di destinatari, attraendo alla sfera legislativa quanto normalmente affidato all'autorità amministrativa” (sentenza n. 114 del 2017), configurandosi quale norma-provvedimento. Ne consegue, pertanto, la necessità di “uno scrutinio di costituzionalità stretto, ovvero particolarmente severo, poiché in norme siffatte è insito il pericolo di un arbitrio, connesso alla potenziale deviazione, in danno di determinati soggetti, dal comune trattamento riservato dalla legge a tutti i consociati” (ex plurimis, sentenze n. 182 del 2017 e n. 64 de/ 2014)" (Corte cost. n. 168 2020). Per tutto quanto sopra esposto l’art. 14, commi 1 e 2, della legge regionale in esame deve essere impugnato dinanzi alla Corte costituzionale, ai sensi dell’art. 127 della Costituzione |