Dettaglio legge regionale
Titolo | Testo unico del turismo |
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Regione | Toscana |
Estremi | Legge n. 61 del 31-12-2024 |
Bur | n. 2 del 08-01-2025 |
Settore | Politiche infrastrutturali |
Delibera C.d.M. | 07-03-2025 / Impugnata |
La Legge regionale, che disciplina in modo organico il sistema turistico regionale, presenta diversi profili di illegittimità costituzionale con riferimento a numerose disposizioni, che risultano dunque censurabili per le motivazioni di seguito evidenziate. L’art. 22, comma 6, prevede che “Gli alberghi possono associare nella gestione, in aumento della propria capacità ricettiva e nei limiti del 40 per cento della medesima, salvo che il comune non stabilisca una percentuale inferiore, unità immobiliari residenziali nella loro disponibilità, ubicate entro duecento metri, misurati nel più breve percorso pedonale possibile, dalla struttura medesima, purché sia garantita l’unitarietà della gestione, l’utilizzo dei servizi della struttura alberghiera e gli standard qualitativi e di sicurezza analoghi al livello di classificazione dell’albergo. Ferma restando la possibilità di mantenere i requisiti strutturali e igienico-sanitari previsti per le case di civile abitazione, l'utilizzo delle unità immobiliari per le attività di cui al presente comma è consentito previo mutamento, ai fini urbanistici, della destinazione d’uso da residenziale a turistico-ricettiva”. La disposizione de qua non risulta in linea con l’esigenza di garantire il rispetto dei principi di ragionevolezza e proporzionalità sottesi all’art. 3 Cost., dal momento che il potere comunale di stabilire una percentuale inferiore al 40 per cento della capacità ricettiva non è riferito ad alcun criterio di commisurazione predeterminato per legge e può, quindi, dare luogo ad applicazioni arbitrarie e immotivate. Ne consegue che la libertà d’impresa degli albergatori, tutelata dall’art. 41 Cost. e rispetto alla quale la possibilità di incrementare la capacità ricettiva dell’azienda è funzionale, è esposta al rischio di limitazioni territoriali non giustificate da reali ragioni di interesse pubblico, non essendo chiaro su quali basi ciascun comune possa comprimere tale diritto sino ad annullarlo del tutto. Ne consegue che il citato art. 22, comma 6, si presta a ledere gli artt. 3 e 41 Cost., in materia di divieto di trattamenti ingiustificati e di tutela della libertà d’impresa. 2.Gli artt. 41, commi 3 e 4, 42, 43, 44,45 e 144, comma 3, dettano disposizioni in materia di strutture ricettive extra-alberghiere con le caratteristiche della civile abitazione. In particolare, l’art. 41, comma 3, cit. stabilisce che l’esercizio delle attività di affittacamere, bed and breakfast, case e appartamenti per vacanze e residenze d’epoca “è consentito esclusivamente in immobili e unità immobiliari aventi, ai fini urbanistici, destinazione d’uso turistico-ricettiva”, con ciò escludendo quelli aventi destinazione d’uso residenziale. Soggiunge il comma 4 che l’attività di affittacamere, bed and breakfast o di residenza d’epoca “svolta da uno stesso soggetto, o da società controllate o collegate ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile riferibili al medesimo, in più strutture ricettive nell’ambito del medesimo edificio non può comunque superare il numero di camere e la capacità ricettiva di una singola struttura”. I successivi artt. 42, 43, 44 e 45, poi, prevedono per tutte le suddette strutture ricettive non alberghiere, la gestione unicamente “in forma imprenditoriale”, escludendo così che in Toscana possa svolgersi attività di affittacamere, bed and breakfast, case e appartamenti per vacanze e residenze d’epoca in forma non imprenditoriale. In via transitoria, poi, l’art. 144, comma 3, della legge in oggetto stabilisce che le previsioni del citato art. 41, comma 3, in materia di destinazione d’uso, si applicano a far data dal 1° luglio 2026. Il complesso delle sopra riportate disposizioni risulta gravemente lesivo della competenza legislativa esclusiva statale in materia di ordinamento civile, di cui agli artt. 42, comma 2 e 117, comma 2, lett. 1), Cost., posto che la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge “che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale [...]". La scelta, radicale e incomprensibile, di non consentire più sul territorio toscano l’esercizio in forma non imprenditoriale delle attività di affittacamere, bed and breakfast, case e appartamenti per vacanze e residenze d’epoca limita fortemente la possibilità per i (soli) proprietari di immobili della regione di godere appieno del proprio diritto dominicale, concedendone il godimento a terzi per finalità turistiche, come invece avviene nel resto d’Italia. Oltretutto, il contenuto del diritto di proprietà, tra cui la scelta di sfruttare economicamente le potenzialità offerte da un bene anche in forma non imprenditoriale, rientra pacificamente nella materia dell’ordinamento civile, posto che l’art. 832 cod. civ. stabilisce in termini generali che il proprietario “ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico”. Il concetto di limitazioni al diritto dominicale, sotteso tanto all’art. 42 Cost. che all’art. 832 cod. civ., tuttavia, non appare compatibile con le previsioni contenute negli artt. 42, 43,44 e 45, che prescrivono, per tutte le suddette strutture ricettive aventi le caratteristiche della civile abitazione, la sola gestione “in forma imprenditoriale”. Si tratta, infatti, di una restrizione legale non collegata né ad una peculiarità del territorio toscano rispetto al resto della Repubblica, né ad esigenze di pubblico interesse volte a conformare in modo così rigido la proprietà immobiliare rispetto alla sua funzione sociale. Al contrario, in modo del tutto sproporzionato e irragionevole, dette previsioni hanno per oggetto di deprivare un’amplia platea di proprietari fondiari della possibilità di ritrarre un reddito dai loro beni e, addirittura, per effetto di ostacolare la produzione di un gettito tributario per tali attività, non essendovi alcuna certezza in merito al fatto che gli immobili in questione sarebbero altrettanto utilmente valorizzabili. Ad aggravare la situazione, poi, è l’irragionevole discriminazione operata in sede di disposizioni transitorie tra i proprietari che, alla data di entrata in vigore della legge, esercitavano dette attività in forma non imprenditoriale, che possono continuare a farlo in conformità alla legislazione previgente, e coloro i quali intendono per la prima volta avvalersi di tale facoltà dominicale in epoca successiva, ai quali è preclusa. Anche per quanto riguarda l’esclusione della destinazione d’uso residenziale, la relativa prescrizione appare manifestamente illogica e incoerente con le caratteristiche fondamentali di questo tipo di ricettività per come definita dalla stessa legge regionale in oggetto. Infatti, se le strutture ricettive si qualificano per il fatto di avere “le caratteristiche della civile abitazione” non si comprende poi per quale obiettiva ragione di interesse pubblico esse debbano avere una differente destinazione dal punto di vista urbanistico e non possano cioè averne una residenziale. Da ultimo, anche la limitazione opposta dall’art. 41, comma 4, alla gestione di tali strutture nell’ambito del medesimo edificio, che “non può comunque superare il numero di camere e la capacità ricettiva di una singola struttura”, è del tutto priva di ragionevolezza; inoltre, non solo lede il diritto dominicale ma si pone anche in aperto contrasto con la libertà di iniziativa economica, di cui all’art. 41 Cost., posto che preclude alla ricettività svolta in forma imprenditoriale la possibilità di trovare l’assetto organizzativo e dimensionale ritenuto più confacente alla produzione di ricchezza. Per tutte le ragioni sopra esposte, gli artt. 41, commi 3 e 4, 42, 43, 44, 45 e 144, comma 3, presentano evidenti profili di illegittimità costituzionale per violazione degli artt. 3, 41, 42, 117, comma 2, lett. 1), Cost., in relazione all’art. 832 cod. civ., perché introducono limitazioni irragionevoli e sproporzionate al diritto del proprietario di disporre del proprio immobile concedendone il godimento a terzi per fini turistici, oltre che alla liberta d’intrapresa. 3.L’articolo 59 prevede criteri e limiti per lo svolgimento dell’attività di locazione turistica breve, consentendo ai comuni a più alta densità turistica e ai capoluoghi di provincia di individuare, con proprio regolamento “zone o aree in cui definire criteri e limiti specifici per lo svolgimento, per finalità turistiche, delle attività di locazione breve di cui all’articolo 4, comma 1, del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50 [...] esercitate anche in forma imprenditoriale. 2. I criteri e i limiti di cui al comma 1, nel rispetto dei principi di stretta necessita, proporzionalità e non discriminazione, sono individuati al fine di perseguire la corretta fruizione turistica del patrimonio storico, artistico e culturale, la preservazione del tessuto sociale, nonché di garantire un’offerta sufficiente ed economicamente accessibile di alloggi destinati alla locazione a lungo termine. Tali criteri, in riferimento alla zona o area interessata, sono definiti tenendo conto, in particolare: a) del rapporto tra il numero di posti letto nelle unità immobiliari ad uso abitativo oggetto di locazione breve e la popolazione residente; b) della distribuzione e della capacità ricettiva delle strutture ricettive alberghiere ed extralberghiere; c) delle caratteristiche del tessuto urbano; d) della necessità di tutelare, anche con riferimento alla sostenibilità ambientale, il valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico; e) della necessità di garantire che il servizio di accoglienza sia effettuato con elevati standard qualitativi; f) di ogni altro elemento utile ai fini della valutazione dell’impatto, diretto o indiretto, della diffusione delle locazioni brevi sulla disponibilità di alloggi a prezzo accessibile e sulla residenzialità, anche in termini qualitativi. 3. I criteri e i limiti di cui al comma 1, tenuto conto di quanto disposto al comma 2, possono consistere, in particolare: a) nella limitazione, per determinate zone omogenee, dello svolgimento dell’attività di locazione breve; b) nell’individuazione di uno specifico rapporto che deve sussistere fra superficie dell’immobile e numero di ospiti ammessi; c) nella definizione di requisiti e standard di qualità che gli immobili adibiti a locazione breve devono possedere con riferimento, in particolare, all’accessibilità degli spazi, agli standard igienico-sanitari, al decoro degli ambienti, nonché alla presenza di servizi di connettività. 4. Nei comuni dotati del regolamento di cui al comma 1, l’esercizio dell’attività di locazione breve, per le zone o aree interessate, è subordinato al rilascio al locatore di un’autorizzazione di durata quinquennale per ciascuna unità immobiliare che si intende locare. Il comune può stabilire un limite massimo di autorizzazioni per determinate zone omogenee. 5. La richiesta di autorizzazione contiene gli elementi che costituiscono oggetto della comunicazione di cui all’articolo 60 o della SCIA di cui all’articolo 61. Il rilascio dell’autorizzazione esonera il richiedente dagli adempimenti previsti dai medesimi articoli. 6. Resta consentita, senza previa autorizzazione, la locazione breve di una porzione dell’unita immobiliare in cui il locatore ha la residenza, nonché di un singolo locale all’interno della medesima unità immobiliare. 7. I comuni, nell’ambito del regolamento di cui al comma 1, stabiliscono disposizioni transitorie volte ad assicurare un’attuazione graduale dei criteri e dei limiti previsti dal presente articolo. Tali disposizioni, in fase di prima attuazione del regolamento, escludono dall’applicazione dei medesimi limiti, per un periodo non inferiore a tre anni e non superiore a cinque anni, gli immobili e le unità immobiliari già destinati, nel corso dell’anno 2024, all’attività di locazione breve, in conformità alla normativa vigente”. La disposizione de qua appare palesemente lesiva innanzitutto della competenza legislativa statale esclusiva in materia di ordinamento civile in quanto, in disparte la descrizione dei presupposti per l’introduzione a livello locale di un simile penetrante regime amministrativo per l’esercizio dell’attività di locazione breve, finisce per consentire limitazioni su base micro-territoriale dei diritti dominicali dei proprietari immobiliari, ai quali può essere radicalmente precluso o può essere reso estremamente difficoltoso ritrarre un reddito dai propri beni concedendone il godimento a terzi per scopi turistici. Inoltre, l’art. 59 citato si fa illegittimamente interprete di interessi pubblici che l’art. 117, secondo comma, lett. s), Cost. riserva all’esclusiva potestà legislativa statale, come è per la tutela dei beni culturali, tale essendo il senso da attribuire all’espressione “corretta fruizione turistica del patrimonio storico, artistico e culturale” richiamata dalla medesima disposizione regionale. Il tutto per tacere del fatto che la stessa potestà normativa secondaria de qua, pur essendo ascrivibile ai poteri afferenti alla materia del governo del territorio, come tale devoluta alla competenza legislativa concorrente dall’art. 117, terzo comma, Cost., non è prevista come principio fondamentale della materia in alcuna legge statale di settore, dato che né il d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267 né il d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 o neppure il d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 consentono in alcun modo ai comuni di intervenire sullo specifico fenomeno delle locazioni brevi ad uso turistico negli stringenti termini prefigurati dalla legge regionale toscana. Inoltre, nel merito dei criteri in concreto enucleati, la disposizione appare anche gravemente contraddittoria perché quale giustificazione per l’introduzione di detta specifica potestà locale di governo del territorio — che come detto è sconosciuta alla legislazione statale, che dovrebbe invece darle un fondamento — indica la finalità di “preservazione del tessuto sociale” e “di garantire un ’offerta sufficiente ed economicamente accessibile di alloggi destinati alla locazione a lungo termine”; nondimeno, nella concreta declinazione dei relativi criteri, si limita a fare generico riferimento a “ogni altro elemento utile ai fini della valutazione dell’impatto, diretto o indiretto, della diffusione delle locazioni brevi sulla disponibilità di alloggi a prezzo accessibile e sulla residenzialità, anche in termini qualitativi”. In altri termini, i mezzi predisposti per raggiungere lo scopo non sono coerenti con gli obiettivi dichiarati, posto che la “distribuzione e ... [la] capacità ricettiva delle strutture ricettive alberghiere ed extra-alberghiere”, “le caratteristiche del tessuto urbano”, la “necessità di tutelare, anche con riferimento alla sostenibilità ambientale, il valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico” e la “necessità di garantire che il servizio di accoglienza sia effettuato con elevati standard qualitativi”, indicate quali criteri per l’esercizio della potestà regolamentare dei comuni, non hanno alcuna attinenza con il diverso tema, proclamato come centrale, della garanzia della disponibilità di un numero adeguato di alloggi a prezzo accessibile. In conclusione l’art. 59 della legge in oggetto presenta palesi profili di illegittimità costituzionale per violazione degli artt. 3, 117, secondo comma, lettere l) ed s) Cost., in relazione all’art. 832 cod. civ., perché introduce un regime amministrativo limitativo del diritto del proprietario di disporre del proprio immobile concedendone il godimento a terzi per fini turistici, al dichiarato scopo di tutelare interessi pubblici devoluti all’esclusiva competenza statale, attraverso una potestà di governo del territorio sconosciuta ai principi generali della materia sanciti da fonti statali e al fine di perseguire obiettivi dichiarati distonici rispetto ai mezzi a ciò predisposti. 4.Numerose disposizioni contenute nel Titoli VI e nel titolo VIII della legge regionale, riguardanti, rispettivamente le agenzie di viaggio e turismo e le professioni turistiche, presentano aspetti di illegittimità costituzionale. In alcuni casi, infatti, si tratta di disposizioni meramente ripetitive di norme contenute in leggi statali; ciò, in violazione del consolidato orientamento della giurisprudenza costituzionale, secondo cui “alla legge regionale non è consentito ripetere quanto già stabilito da una legge statale (sentenze n. 153 e n. 424 del 2006 nonché n. 57 del 2007)” (Corte costituzionale, 29 ottobre 2009, n. 271). In altri casi, si tratta di disposizioni recanti una disciplina distonica o comunque non pienamente corrispondente a quella recata dalle leggi statali ovvero si tratta di disposizioni che introducono nuove figure professionali; ciò, in violazione dei principi in materia di concorrenza, la cui tutela è riservata alla potestà legislativa esclusiva statale ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera e) della Cost. e dell’articolo 117, terzo comma, in materia di riparto di competenze tra Stato e Regioni in materia disciplina delle professioni. Secondo il consolidato orientamento del Giudice delle leggi, “la potestà legislativa regionale nella materia concorrente delle “professioni” deve rispettare il principio secondo cui l’individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e titoli abilitanti, è riservata, per il suo carattere necessariamente unitario, allo Stato, rientrando nella competenza delle Regioni la disciplina di quegli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale; e che tale principio, al di là della particolare attuazione ad opera dei singoli precetti normativi, si configura […] quale limite di ordine generale, invalicabile dalla legge regionale, da ciò derivando che non è nei poteri delle Regioni dar vita a nuove figure professionali» (sentenza n. 98 del 2013, come richiamata dalla sentenza n. 209 del 2020)” (Corte costituzionale, 23 giugno 2023, n. 127). Né sembra, sul piano tecnico, che la circostanza che il legislatore regionale abbia utilizzato, nell’istituire nuove figure professionale, la locuzione “nelle more della definizione da parte dello Stato del relativo profilo professionale”, prospettando una sorta di cedevolezza della disciplina regionale in presenza di un intervento da parte del legislatore nazionale, possa, ex se, rendere costituzionalmente legittima l’iniziativa del legislatore regionale. Infatti, la c.d. "cedevolezza invertita" (che, come noto, opera al contrario rispetto al suo normale funzionamento, quello ossia in base al quale lo Stato, onde evitare vuoti normativi nell'ordinamento giuridico e dunque allo scopo di scongiurare il pericolo di lacune normative nel sistema, disciplina ambiti riservati alla competenza regionale sino a quando le Regioni non interverranno con propri provvedimenti) è stata ammessa dalla Corte costituzionale con le note sentenze n. 1 del 2019 e n. 222 del 2020 esclusivamente in relazione a situazioni nelle quali si intreccino quantomeno competenze statali e regionali, riconoscendo in tale caso alle Regioni la possibilità di intervenire e di disciplinare provvisoriamente ed eccezionalmente la materia, in caso di inerzia statale e fino all’adozione delle relativa disciplina statale. Orbene, in relazione alla materia delle professioni, il principio della c.d. cedevolezza invertita non è in alcun modo predicabile in quanto ontologicamente incompatibile con l’esigenza di assicurare, in caso di istituzione di nuove figure professionali, una disciplina unitaria funzionale ad assicurare la concorrenza sull’intero territorio nazionale, ad evitare indebite discriminazioni legate ad ambiti territoriali infra statuali e a garantire il pieno esercizio della libera prestazione di servizi e della libertà di stabilimento di cui agli artt. 49 e 56 del TFUE nonché il conseguimento degli obiettivi di cui alla direttiva 12 dicembre 2006, n. 2006/123/CE (relativa ai servizi nel mercato interno) e alla direttiva 7 settembre 2005, n. 2005/36/CE (relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali). A ciò aggiungasi che, diversamente opinando, l’istituzione di una nuova figura professionale, con l’individuazione dei relativi profili e dei titoli abilitanti, verrebbe rimessa all’iniziativa delle Regioni e non anche dello Stato (come ripetutamente affermato dal Giudice delle leggi) cui spetta invece in via esclusiva il compito di verificare se una determina attività abbia il contenuto e i connotati necessari per essere qualificata come una professione. In tal senso, l’assenza di una disciplina statale recante la positivizzazione di una determinata attività come una professione, lungi dal potersi qualificare come una mera inerzia legittimante (in ipotesi) l’assunzione di iniziative legislative da parte delle singole Regioni, ben può qualificarsi come volontà del legislatore statale di non intervenire, con conseguente impossibilità per il legislatore regionale di superare o di sostituirsi alla stessa. Tanto evidenziato in termini generali, con specifico riguardo alle singole disposizioni della legge regionale in oggetto, si rappresenta quanto segue. 4.1. Per quanto riguarda le disposizioni contenute nel Titolo VI della legge in esame, recante la disciplina delle “Agenzie di viaggio e turismo”, si evidenzia che l’articolo 76 regola i requisiti e gli obblighi per l'esercizio dell’ attività delle agenzie di viaggio e turismo. Nel dettaglio, l’articolo 76 prevede che: “1. Il titolare dell'agenzia di viaggio e il suo rappresentante, ai sensi dell'articolo 8 del r.d. 773/1931, devono essere in possesso dei requisiti previsti dagli articoli 11 e 92 del medesimo r.d. 773/1931. 2. In caso di società o di organismo collettivo, i requisiti di cui al comma 1 sono posseduti da tutti i soggetti per i quali è previsto l'accertamento antimafia ai sensi dell'articolo 85 del D.Lgs. 159/2011. 3. Il titolare di agenzia di viaggio o il rappresentante legale in caso di società o, in loro vece, il preposto, deve essere in possesso dell'abilitazione a direttore tecnico di agenzia di viaggio. 4.Il direttore tecnico deve prestare la propria attività lavorativa con carattere di continuità ed esclusività in una sola agenzia. 5. Le agenzie di viaggio sono tenute a stipulare polizze assicurative di responsabilità civile a favore del viaggiatore, ai sensi dell'articolo 47, comma 1, dell'allegato 1 al D.Lgs. 79/2011. 6.Le agenzie di viaggio sono tenute a fornire idonea garanzia per i casi di insolvenza o fallimento, ai sensi dell'articolo 47, commi 2 e 3, dell'allegato 1 al D.Lgs. 79/2011. 7. L'attività di agenzia di viaggio è svolta in un locale idoneo, nel rispetto della normativa vigente in materia di edilizia, urbanistica e di destinazione d'uso, che in caso di vendita diretta al pubblico deve essere aperto al pubblico.”. Ai sensi dell’articolo 76, comma 4, il direttore tecnico dell’agenzia di viaggio deve prestare la propria attività lavorativa con carattere di continuità ed esclusività per una sola agenzia. Al riguardo, si osserva preliminarmente che, come noto, la professione di “Direttore tecnico di agenzia di viaggi e turismo” è contemplata dall’articolo 20 del c.d. “Codice del Turismo”, approvato con decreto legislativo 23 maggio 2011, n. 79, secondo cui: “Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro delegato sono fissati i requisiti professionali a livello nazionale dei direttori tecnici delle agenzie di viaggio e turismo, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e di Bolzano”. Con decreto ministeriale n. 1432 del 2021, il Ministero del turismo è, quindi, intervento a dettare i requisiti richiesti a livello nazionale per l’esercizio della professione dei direttori tecnici delle agenzie di viaggio e turismo, senza prevedere alcun vincolo di esclusività in capo agli stessi. Conseguentemente, la disposizione introdotta all’articolo 76, comma 4 della legge regionale in esame, travalica i limiti della competenza legislativa concorrente attribuita al legislatore regionale ai sensi dell’articolo 117, comma terzo, della Costituzione, che colloca le “professioni” tra le materie oggetto di potestà legislativa concorrente. In questa materia, infatti, spetta allo Stato la determinazione, per via legislativa, dei principi fondamentali, mentre alle Regioni compete la determinazione della disciplina di dettaglio. La Corte costituzionale ha espressamente statuito, in plurime occasioni, che «la potestà legislativa regionale nella materia concorrente delle professioni deve rispettare il principio secondo cui l'individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e titoli abilitanti, è riservata, per il suo carattere necessariamente unitario, allo Stato, rientrando nella competenza delle Regioni la disciplina di quegli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale. Tale principio, al di là della particolare attuazione ad opera dei singoli precetti normativi, si configura infatti quale limite di ordine generale, invalicabile dalla legge regionale. Da ciò deriva che non è nei poteri delle Regioni dar vita a nuove figure professionali» (sentenza n. 153 del 2006, nonché, ex plurimis, sentenze n. 57 del 2007, n. 424 del 2006 e n.300 del 2010)” (Corte Costituzionale, 23/06/2023, n. 127). La disposizione regionale, altresì, nell’introdurre delle limitazioni valide soltanto sul suolo regionale, determina una disparità di trattamento tra gli operatori del settore che esercitano l’attività nella regione Toscana e quelli che, invece, operano in altre regioni nelle quali non è previsto alcun vicolo di esclusività, con effetti negativi anche in termini di rischio di frammentazione, a livello regionale, della disciplina di tale professione, con conseguente violazione dei principi in materia di concorrenza, la cui tutela è riservata alla potestà legislativa esclusiva statale ai sensi dell’articolo 117, comma secondo, lettera e) della Cost. Alla luce delle considerazioni che precedono, si rappresenta che l’articolo 76, comma 4 della legge regionale in oggetto è censurabile per contrasto con l’articolo 117, comma terzo, Cost, con l’articolo 20 del decreto legislativo n. 79 del 2011 quale norma interposta e con l’articolo 117, primo comma e secondo comma, lettera e), della Costituzione. 4.2. Il Titolo VIII reca disposizioni in materia di “professioni turistiche” che risultano presentare plurimi profili di illegittimità costituzionale. In particolare, il Capo II e il Capo III del Titolo VIII disciplinano, rispettivamente, la figura del c.d. “Accompagnatore turistico” e della “Guida Ambientale”. Per quanto riguarda la figura del c.d. “Accompagnatore turistico”, si prevede quanto segue. L’articolo 95, al comma 1, stabilisce che: “Nell'ambito della definizione delle professioni turistiche di cui all'articolo 6 dell'allegato 1 al D.Lgs. 79/2011 e nelle more della definizione da parte dello Stato del relativo profilo professionale, è accompagnatore turistico chi, per professione, accompagna singole persone o gruppi durante viaggi, attraverso il territorio nazionale o estero, per curare l'attuazione dei programmi di viaggio e assicurare i necessari servizi di assistenza per tutta la sua durata, fornendo significative informazioni di interesse turistico sulle zone di transito, al di fuori dell'ambito di competenza delle guide turistiche.”. Vengono, poi, disciplinati i requisiti per l’esercizio della professione di accompagnatore turistico (articolo 96), i corsi di qualificazione riconosciuti dalla Regione (articoli 97-98), le sanzioni amministrative in caso di esercizio della stessa in assenza dei requisiti stabiliti dalla Regione (articolo 100). Analogamente, anche per quanto riguarda la figura della c.d. “Guida ambientale”, l’art. 102, comma 1, della legge regionale fornisce la seguente definizione: “Nell'ambito della definizione delle professioni turistiche di cui all'articolo 6 dell’allegato 1 al d.lgs. 79/2011 e nelle more della definizione da parte dello Stato del relativo profilo professionale, è guida ambientale chi, per professione, accompagna persone singole o gruppi assicurando la necessaria assistenza tecnica, nella visita di ambienti naturali, anche antropizzati, di musei eco ambientali, allo scopo di illustrarne gli elementi, le caratteristiche, i rapporti ecologici, il legame con la storia e le tradizioni culturali, le attrattive paesaggistiche, e di fornire, inoltre, elementi di educazione ambientale. Sono esclusi i percorsi che richiedono comunque l'uso di attrezzature e di tecniche alpinistiche”. L’articolo 102, comma 2, rinvia ad un Regolamento regionale “le articolazioni della professione”. Vengono poi disciplinati i requisiti per l’esercizio della professione di guida ambientale (articolo 103), i corsi di qualificazione e specializzazione riconosciuti dalla Regione (articoli 105 e 106), le sanzioni amministrative in caso di esercizio della stessa in assenza dei requisiti stabiliti dalla Regione (articolo 109-110). Tanto premesso, si osserva come la legge regionale in questione, nel momento in cui ha previsto l’introduzione, ex novo e, in assenza di una disciplina statale di riferimento, delle figure professionali dell’accompagnatore turistico e della guida ambientale, si ponga in contrasto con l’articolo 117, terzo comma, Cost., che colloca le “professioni” tra le materie oggetto di potestà legislativa concorrente. Come già evidenziato, in materia di turismo, spetta allo Stato la determinazione, per via legislativa, dei principi fondamentali, mentre alle Regioni compete la determinazione della disciplina di dettaglio. In altri termini, la potestà legislativa regionale si esercita sulle professioni individuate e definite dalla normativa statale (art. 1, comma 3, del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 30, recante norme in tema di ricognizione dei principi fondamentali in materia di professioni, ai sensi dell'articolo 1 della legge 5 giugno 2003, n. 131). Al riguardo, si evidenzia che la Corte costituzionale ha avuto modo precisare che: “non spetta alla legge regionale né creare nuove professioni, né introdurre diversificazioni in seno all'unica figura professionale disciplinata dalla legge dello Stato (sentenza n. 328 del 2009), né, infine, assegnare tali compiti all'amministrazione regionale, e in particolare alla Giunta (sentenze n. 93 del 2008, n. 449 del 2006). Infatti, la potestà legislativa regionale si esercita sulle professioni individuate e definite dalla normativa statale (art. 1, comma 3, del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 30, recante norme in tema di ricognizione dei principi fondamentali in materia di professioni, ai sensi dell'articolo 1 della legge 5 giugno 2003, n. 131)” (Corte Costituzionale, 22/07/2011, n. 230). Con la legge regionale in esame, invece, il legislatore regionale, introducendo la nuova figura professionale dell’accompagnatore turistico e della guida ambientale e definendo i requisiti di accesso alla professioni, travalica i limiti della competenza legislativa concorrente attribuitagli dall’articolo 117, comma terzo, della Costituzione, che non essendo consentito allo stesso dare vita a nuove figure professionali in assenza della preventiva individuazione delle stesse da parte del legislatore statale. Si consideri che, all’attualità, in materia di professioni turistiche, il legislatore nazionale si limita a dettare la definizione generale delle professioni turistiche, avendo provveduto a tipizzare soltanto alcune delle professioni riconducibile nella definizione di cui all’articolo 6 dell'allegato 1 al D.lgs. n. 79/2011 (recante il “Codice della normativa statale in tema di ordinamento e mercato del turismo, a norma dell'articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246, nonché attuazione della direttiva 2008/122/CE, relativa ai contratti di multiproprietà, contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine, contratti di rivendita e di scambio”) a mente del quale “1. Sono professioni turistiche quelle attività, aventi ad oggetto la prestazione di servizi di promozione dell’attività turistica, nonché servizi di ospitalità, assistenza, accompagnamento e guida, diretti a consentire ai turisti la migliore fruizione del viaggio e della vacanza, anche sotto il profilo della conoscenza dei luoghi visitati.”. Con specifico riguardo alla disciplina delle professioni turistiche, la Corte costituzionale, nel dichiarare costituzionalmente illegittima una legge regionale che istitutiva la figura dello “animatore turistico”, ha avuto modo di precisare che“…la giurisprudenza della Corte è ferma nel senso che compete allo Stato l'individuazione dei profili professionali e dei requisiti necessari per il relativo esercizio. Tali principi sono validi anche con riguardo alle professioni turistiche. In tal senso, esplicitamente, la recente sentenza n. 222 del 2008 ha statuito che «l'attribuzione della materia delle "professioni" alla competenza dello Stato [...] prescinde dal settore nel quale l'attività professionale si esplica e corrisponde all'esigenza di una disciplina uniforme sul piano nazionale che sia coerente anche con i principi dell'ordinamento comunitario. Nel caso in esame, la prima delle due norme regionali censurate, nel descriverne i connotati distintivi, istituisce una nuova professione di ‘animatore turistico’, secondo la definizione sopra indicata, che non trova alcun riscontro nella vigente legislazione nazionale, né in particolare nella legge 29 marzo 2001, n. 135 (Riforma della legislazione nazionale del turismo), la quale, all'art. 7, comma 5, definisce «professioni turistiche quelle che organizzano e forniscono servizi di promozione dell'attività turistica, nonché servizi di assistenza, accoglienza, accompagnamento e guida dei turisti….” (Corte costituzionale, 29 ottobre 2009, n. 271). L’articolo 103, al comma 3, inoltre prevede che “l'esercizio della professione di guida ambientale da parte di lavoratori autonomi è soggetto a SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività), da presentarsi al SUAP competente per il territorio in cui si intende operare”. Il successivo articolo 104, al comma 2: dispone poi che “le guide del parco o della riserva naturale già abilitate ai sensi della legge regionale 49/1995 possono continuare a esercitare l’attività esclusivamente nel parco o riserva naturale di pertinenza ”). Dette norme limitano la possibilità di operare fuori dalla regione, in contrasto con il dettato della recente sentenza della Corte Costituzionale n. 192/2024 la quale ha ulteriormente consolidato il principio per cui l’individuazione delle professioni non può essere frammentata su base regionale e confermando in tal modo la necessità di un coordinamento unitario per garantire l’uniformità del mercato e la tutela dell’interesse pubblico (un assetto normativo, cioè, volto, tra le altre cose, a garantire sia il pieno diritto alla libera prestazione di servizi e alla libertà di stabilimento, di cui agli artt. 49 e 56 del TFUE sia il conseguimento degli obiettivi di cui alla direttiva 12 dicembre 2006, n. 2006/123/CE (relativa ai servizi nel mercato interno) e alla direttiva 7 settembre 2005, n. 2005/36/CE (sul riconoscimento delle qualifiche professionali) La disciplina introdotta dal legislatore regionale, nel delineare una regolamentazione applicabile esclusivamente al proprio ambito territoriale di riferimento, è suscettibile di impedire e/o ostacolare l’esercizio della medesima attività da parte di operatori residenti nel territorio di altre regioni, con conseguente violazione dei principi in materia di concorrenza, la cui tutela è riservata alla potestà legislativa esclusiva statale ai sensi dell’articolo 117, comma secondo, lettera e) della Cost. Né sembra emergere un particolare collegamento tra le disposizioni censurate e le peculiari esigenze della realtà territoriale cui la legge regionale si rivolge, e in relazione alle quali potrebbe esclusivamente giustificarsi un intervento legislativo di dettaglio nella materia delle professioni da parte della regione (cfr. sul punto Corte costituzionale, 4 aprile 2006 n. 153 e Id. 22 luglio 2011, n. 230). Alla luce delle considerazioni che precedono, gli articoli 95, 96, 97, 98, 99, 100, 101, 102, 103, 104, 105, 106, 107, 108, 109, e 110 della legge regionale in oggetto appaiono censurabili per contrasto con l’articolo 117, comma terzo, Cost. e con l’articolo 117, primo comma della Costituzione, che impone il rispetto del diritto europeo, con l’articolo 117 secondo comma, lettera e), della Costituzione, in materia di tutela della concorrenza e con l’articolo 6 dell’allegato 1 al decreto legislativo n. 79 del 2011 quale norma interposta. 4.3. Il capo IV del titolo VIII della legge regionale detta disposizioni con riguardo alla figura professionale del maestro di sci. L’art. 111 fornisce una definizione del profilo professionale sulla base di quella già fornita dall’art. 2 della legge n. 81/1991. La norma, ripetitiva del contenuto della disposizione statale circa la definizione della figura professionale, appare inficiata un vizio di legittimità costituzionale in quanto, per giurisprudenza consolidata del Giudice delle leggi, “alla legge regionale non è consentito ripetere quanto già stabilito da una legge statale (sentenze n. 153 e n. 424 del 2006 nonché n. 57 del 2007)” (Corte costituzionale, 29 ottobre 2009, n. 271). L’art. 112 istituisce l’albo professionale regionale dei maestri di sci e prevede che siano tenuti ad iscriversi all’albo regionale i maestri di sci “che esercitano in modo stabile in Toscana la professione”, intendendosi per tali coloro che hanno “un recapito in Toscana ai fini dell’offerta delle proprie prestazioni”. Si prevede, inoltre, che l’albo sia “suddiviso, per specialità, nelle seguenti sezioni: a) maestri di sci alpino; b) maestri di sci di fondo; c) maestri di sci di snowboard”. Al riguardo si evidenzia che, in materia di regolamentazione delle professioni, gli albi regionali possono svolgere “funzioni meramente ricognitive o di comunicazione e di aggiornamento … dovendo intendersi riferiti a professioni già riconosciute dalla legge statale” (Corte costituzionale 29 ottobre 2009, n. 271 e Id. 23 giugno 2023, n. 127). Nel caso di specie, sebbene sia la legge statale a prevedere gli albi regionali dei maestri di sci (art. 3, della legge n. 81/1991), il legislatore toscano è andato oltre le proprie competenze in materia. Anzitutto, a fronte di un profilo professionale compiutamente definito dalla disciplina statale, la legge regionale non può prevedere la suddivisione dell’albo in diverse “specialità” tali da parcellizzare la figura professionale definita dal legislatore statale in modo unitario. Il legislatore statale, difatti, si limita a prevedere che “Le regioni possono istituire corsi ed esami di specializzazione per i maestri di sci” (art. 10, L. n. 81/1991) e non autorizza certo le regioni a prevedere specifiche sezioni dell’albo regionale tali da differenziare al suo interno l’unitaria categoria professionale. Alla luce delle considerazioni che precedono, appaiono costituzionalmente illegittime le previsioni dall’art. 112, comma 3, che prevedono tre sezioni dell’albo regionale nonché le previsioni dell’art. 114, comma 3, e 115, comma 3, che prevedono che i corsi di qualificazione propedeutici all’iscrizione all’albo regionale riguardino la “singola specialità”. L’art. 113 stabilisce i requisiti per ottenere l’iscrizione all’albo, appare anch’esso inficiato da vizi di legittimità costituzionale. “L'indicazione di specifici requisiti per l'esercizio delle professioni, anche se in parte coincidenti con quelli già stabiliti dalla normativa statale, viola la competenza statale, risolvendosi in una indebita ingerenza in un settore (quello della disciplina dei titoli necessari per l'esercizio di una professione), costituente principio fondamentale della materia e, quindi, di competenza statale, ai sensi anche dell'art. 4, comma 2, del d.lgs. n. 30 del 2006» (sentenze n. 153 del 2006 e n. 57 del 2007)” (Corte costituzionale, 29 ottobre 2009, n. 271). Peraltro, i requisiti di accesso all’albo regionale previsti dal legislatore regionale non coincidono perfettamente con quelli già fissati dal legislatore statale. L’art. 4 della legge n. 81/1991, difatti, prevede al riguardo quanto segue: “Possono essere iscritti all'albo dei maestri di sci coloro che siano in possesso della relativa abilitazione, conseguita con le modalità di cui all'articolo 6, nonché dei seguenti requisiti: a) cittadinanza italiana o di altro Stato appartenente alla Comunità economica europea; b) maggiore età; c) [abrogato]; d) possesso del diploma di scuola dell'obbligo; e) non aver riportato condanne penali che comportino l'interdizione, anche temporanea, dall'esercizio della professione, salvo che non sia intervenuta la riabilitazione”. Di contro, l’art. 113 della legge regionale in oggetto prevede i seguenti requisiti di iscrizione all’albo regionale dei maestri di sci: “a) idoneità psico-fisica attestata da certificato rilasciato dall'azienda unità sanitaria locale del comune di residenza; b) assolvimento dell'obbligo scolastico; c) assenza di condanne con sentenza passata in giudicato che comportino l’interdizione, anche temporanea, dall’esercizio della professione, salvo che sia intervenuta la riabilitazione o che siano decorsi cinque anni dal giorno in cui la pena è stata scontata o che, con sentenza passata in giudicato, sia stata concessa la sospensione condizionale della pena; d) abilitazione all'esercizio della professione, conseguita mediante la frequenza dei corsi di qualificazione professionale di cui all'articolo 114 e il superamento dei relativi esami”. Pertanto, la legge regionale prevede il requisito dell’idoneità psico-fisica che la legge statale allo stato non prevede più. Anche con riferimento al requisito relativo all’assenza di condanne penali, il legislatore regionale interviene in modo difforme rispetto alla disciplina statale. A differenza di quanto disposto dalla L. n. 81/1991, il legislatore regionale prevede la possibilità di iscriversi all’albo ove siano decorsi cinque anni dal giorno in cui la pena è stata scontata. Altresì, il legislatore regionale fa riferimento alla possibilità di iscriversi all’albo in presenza di una sospensione condizionale della pena, così intervenendo sulla disciplina, di competenza statale, degli effetti sulle pene accessorie del provvedimento di sospensione condizionale della pena (disciplina allo stato contenuta all’art. 166 c.p.p. che, a seguito della modificazione ad opera della legge n. 19/1990, prevede che la sospensione condizionale delle pene accessorie è di regola effetto della sospensione condizionale della pena principale). La previsione, da parte del legislatore regionale, di specifici requisiti di iscrizione all’albo regionale si pone in contrasto con i principi fondamentali della materia previsti dagli artt. 3, 4 e 5 della legge n. 81/1991, ostacolando oltremodo il trasferimento dei maestri di sci da un albo regionale all’altro. L’art. 5 della legge n. 81/1991, difatti, stabilisce che “Le condizioni per il trasferimento da un albo professionale regionale all'altro, nonché per l'autorizzazione all'esercizio temporaneo in regioni diverse da quelle di iscrizione all'albo sono determinate dalle leggi regionali, le quali non possono porre prescrizioni e limitazioni tali da ledere il principio di uguaglianza e da rendere il trasferimento più gravoso rispetto ai requisiti fissati per chi richiede l'iscrizione ai sensi degli articoli 3 e 4”. Da quanto detto, discende altresì l’illegittimità dell’art. 116, commi, 2 e 7, della legge regionale laddove richiama i requisiti di cui all’art. 113 ai fini dell’iscrizione nell’albo regionale dei maestri di sci già iscritti negli albi professionali di altre regioni ovvero per l’esercizio stabile della professione da parte di maestri provenienti da paesi non UE. Anche in tal caso, il legislatore regionale, richiamando l’applicazione di requisiti diversi da quelli previsti dalla disciplina nazionale, ostacola l’iscrizione dei maestri di sci nell’albo regionale in violazione dei principi fondamentali della materia posti dalla legge statale. Oltre che con riguardo ai profili già menzionati, la disciplina regionale relativa ai corsi di qualificazioni si pone in contrasto con i principi della materia, dettati dall’art. 7 della legge n. 81/1991 che dispone che “I corsi hanno durata minima di 90 giorni effettivi di insegnamento e prevedono i seguenti insegnamenti fondamentali: tecniche sciistiche; didattica; pericoli della montagna; orientamento topografico, ambiente montano e conoscenza del territorio regionale di competenza; nozioni di medicina e pronto soccorso; diritti, doveri e responsabilità del maestro; leggi e regolamenti professionali”. Di contro, l’art. 115 della legge regionale demanda la definizione della durata oraria e delle materie dei corsi a una deliberazione della Giunta regionale (Con deliberazione della Giunta regionale sono determinate le materie oggetto dei corsi di cui all'articolo 114, il numero delle ore e le modalità di accesso. Le materie e gli argomenti dei corsi sono determinati nel rispetto dei criteri e dei livelli delle tecniche). Per quanto riguarda l’art. 116 della legge regionale, i commi 7 e 8 di tale articolo, subordinano l’esercizio stabile e quello occasionale della professione da parte dei maestri di sci di Stati non UE al rispetto della condizione di reciprocità del trattamento. Si tratta di materia già disciplinata dal legislatore statale che ha stabilito che “Per i cittadini provenienti da Stati diversi da quelli indicati al comma 2 e in possesso di titoli rilasciati da tali Stati, l'autorizzazione all'esercizio della professione è subordinata all'applicazione di quanto previsto dal testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286” (art. 12, comma 3, della legge n. 81/1991). In materia, è intervenuto il decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206, recante “Attuazione della direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, nonché della direttiva 2006/100/CE che adegua determinate direttive sulla libera circolazione delle persone a seguito dell'adesione di Bulgaria e Romania”, il quale all’articolo 5 prevede che: “Ai fini del riconoscimento di cui al titolo II e al titolo III, capi II e IV, sono competenti a ricevere le domande, a ricevere le dichiarazioni e a prendere le decisioni: a) la Presidenza del Consiglio dei ministri - Ufficio per lo sport, per tutte le attività che riguardano il settore sportivo e per quelle esercitate con la qualifica di professionista sportivo, ad accezione di quelle di cui alla lettera l-septies), nonché per le professioni di cui alla legge 2 gennaio 1989, n. 6;”. La disposizione nazionale individua, quindi, nel Dipartimento per lo sport della Presidenza del Consiglio dei ministri l’autorità competente a ricevere le domande per il riconoscimento delle qualifiche professionali degli appartenenti a Paesi extra UE, contrariamente a quanto previsto dal legislatore regionale, che invece rimette il riconoscimento alla Federazione italiana sport invernali, d’intesa con il Collegio nazionale dei maestri di sci, previa richiesta di nulla osta al Collegio regionale dei maestri di sci della regione Toscana. L’art. 117 della legge regionale prevede che “L'esercizio abusivo della professione di maestro di sci è punito ai sensi dell'articolo 348 del codice penale”. Sebbene si tratti di disposizione che rinvia all’art. 348 c.p., la stessa è costituzionalmente illegittima invadendo la competenza legislativa esclusiva statale in materia penale, posto che, come già osservato, “alla legge regionale non è consentito ripetere quanto già stabilito da una legge statale (sentenze n. 153 e n. 424 del 2006 nonché n. 57 del 2007)” (Corte costituzionale, 29 ottobre 2009, n. 271). Difatti, la previsione introdotta dalla legge regionale non può che creare confusione nelle fonti dirette a disciplina la materia, confusione che non potrebbe che aumentare laddove il legislatore statale dovesse in futuro modificare la norma penale incriminatrice o individuare per la stessa una diversa sedes materiae. L’art. 118 disciplina il collegio regionale dei maestri di sci. Le previsioni ivi contenute sono perlopiù ripetitive di quanto già previsto dall’art. 13 della legge n. 81/1991 seppure con alcune difformità in relazione alla composizione del collegio regionale che non è del tutto coincidente con l’analoga previsione di cui all’art. 13, comma 1, della legge n. 81 sopra menzionata. Anche in tal caso, pertanto, la legge regionale interviene su questioni già disciplinate dalla legge statale di principio. L’art. 124 della legge regionale dispone che “La prosecuzione dell’attività professionale di maestro di sci è vietata dal comune qualora l’interessato perda uno dei requisiti richiesti per l’esercizio dell’attività. In tal caso è ritirata la tessera di riconoscimento”. La norma si pone in contrasto con le previsioni dell’art. 13 legge n. 81/1991 che attribuisce al Collegio regionale dei maestri di sci, e in particolare al consiglio direttivo, “tutte le funzioni” concernenti, tra l’altro, “la tenuta degli albi professionali, la vigilanza sull'esercizio della professione, l'applicazione delle sanzioni disciplinari”. Alla luce delle considerazioni che precedono, si rappresenta che, gli articoli 111, 112, 113, 114, 115, 116, 117, 118 e 124 della legge regionale in oggetto appaiono censurabili per contrasto con l’articolo 117, comma terzo, Cost. e con l’articolo 117, primo comma e secondo comma, lettera l), della Costituzione e con la legge n. 81/1991 quale norma interposta. 4.4. Il Capo V del titolo VIII della legge regionale contiene una disciplina in materia di guide alpine. L’art. 125 della legge regionale è pressoché ripetitivo del contenuto degli artt. 2 e 3 della legge n. 6/1989 che stabilisce i princìpi fondamentali per la legislazione regionale in materia di ordinamento della professione di guida alpina. Detto art. 125, ripetendo quanto già stabilito dalla legge statale, per le ragioni già in precedenza esposte in punto di norme regionali ripetitive di quelle statali, appare inficiato da vizi di legittimità costituzionale. Gli artt. 126 e 127 della legge regionale disciplinano l’albo regionale delle guide alpine. Anche nel presente caso, analogamente a quanto già si è osservato per le previsioni in materia di maestri di sci, la norma regionale riprende il contenuto della legge n. 6/1989 ma con alcune differenze, soprattutto per quanto attiene ai requisiti di iscrizione all’albo, non risultando del tutto coincidenti le previsioni al riguardo previste dall’art. 5 della legge statale e quelle di cui all’art. 126 della legge regionale. Gli artt. 126 e 127, pertanto, appaiono costituzionalmente illegittimi, così come l’art. 130, comma 2, che fa rinvio all’art. 127 ai fini dell’iscrizione all’albo regionale delle guide alpine di altre regioni. L’art. 130 della legge regionale prevede al comma 1, che “Le guide alpine già iscritte negli albi di altre regioni che intendono esercitare stabilmente la professione anche in Toscana devono richiedere l'iscrizione nell'albo professionale regionale delle guide alpine della Toscana”. L’art. 126, comma 3, fornisce una definizione di esercizio stabile dalla professione affermando che “È da intendersi esercizio stabile della professione l'attività svolta dalla guida alpina avente un recapito, anche stagionale, in Toscana ai fini dell'offerta delle proprie prestazioni”. Il combinato disposto dell’art. 130, comma 1, e 126, comma 3, risulta costituzionalmente illegittimo ponendosi in contrasto con il principio fissato dalla legge statale in base al quale “L'iscrizione all'albo professionale delle guide alpine-maestri di alpinismo o degli aspiranti guida di una regione abilita all'esercizio della professione in tutto il territorio nazionale” (art. 4, comma 3, l. n. 6/1989). Le norme regionali contrastano, altresì, con le previsioni dell’art. 6 della legge n. 6/1989 che disciplina il “trasferimento” e la “aggregazione temporanea” delle guide alpine e prevede, inter alia, la possibilità per la guida alpina iscritta all’albo di una regione di trasferirsi presso l’albo di altra regione a condizione che l'interessato abbia la propria residenza o il proprio domicilio o stabile dimora in un comune della regione medesima. La legge statale, pertanto, prevede che ciascuna guida sia iscritta all’albo di una sola regione e che tale iscrizione abilita all'esercizio della professione in tutto il territorio nazionale (salvo quanto previsto dall’art. 6, comma 3, della l. n. 6/1989 per l’attività presso le scuole di alpinismo o sci-alpinismo). Altresì, la nozione di esercizio stabile della professione fornita dalla legge regionale non corrisponde a quanto previsto dall’art. 4, comma 5, della L. n. 6/1989 secondo la quale “È considerato esercizio stabile della professione, ai fini di quanto previsto dai commi 2 e 4, l'attività svolta dalla guida alpina-maestro di alpinismo o dall'aspirante guida che abbia un recapito, anche stagionale, nel territorio della regione interessata, ovvero che in essa offra le proprie prestazioni ai clienti”. Concludendo sul punto, si segnala che, analogamente alle considerazioni già svolte in tema di riconoscimento delle qualifiche professionali di maestro di sci provenienti da Paesi extra UE, anche il comma 4 dell’articolo 130 appare in contrasto con le previsioni di cui all’articolo 5 del citato d.lgs. n. 206 del 2007, che individua nel Dipartimento per lo sport della Presidenza del Consiglio dei ministri l’autorità competente per il riconoscimento delle qualifiche professionali degli appartenenti ai Paesi extra UE. L’art. 131 della legge regionale disciplina il Collegio regionale delle guide alpine con disposizioni pressoché ripetitive degli artt. 13 e 14 della legge n. 6/1989 e, pertanto, è costituzionalmente illegittimo. L’art. 134 della legge regionale disciplina le sanzioni disciplinari con disposizioni pressoché ripetitive degli art. 17 della legge n. 6/1989 e, pertanto, anch’esso è costituzionalmente illegittimo. L’art. 136 della legge regionale disciplina le sanzioni amministrative e, al riguardo, valgono le medesime considerazioni già svolte con riferimento all’art. 123 circa l’illegittimità del “doppio binario” sanzionatorio, con conseguente illegittimità costituzionale della norma. Anche con riguardo all’art. 137, in punto di divieto di prosecuzione delle attività, emergono i medesimi profili di illegittimità costituzionale già esposti con riguardo all’art. 124. Alla luce delle considerazioni che precedono, si rappresenta che gli articoli 125, 126, 127, 130, 131, 134, 136 e 137 della legge regionale in oggetto appaiono censurabili per contrasto con l’articolo 117, comma terzo, Cost. e con l’articolo 117, primo comma e secondo comma, lettera e), della Costituzione e con la legge n. 6/1989 quale norma interposta. Per quanto evidenziato, la legge regionale, relativamente alle disposizioni sopra indicate, deve essere impugnata ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione. |