Dettaglio legge regionale

Dettaglio legge regionale
Titolo Modifiche e integrazioni alla legge regionale n. 21/2010.
Regione Calabria
Estremi Legge n. 36 del 16-10-2019
Bur n. 114 del 16-10-2019
Settore Politiche infrastrutturali
Delibera C.d.M. 05-12-2019 / Non impugnata
La legge regionale, che detta modifiche e integrazioni alla legge regionale n 21/2010, concernente misure straordinarie a sostegno dell'attività edilizia finalizzata al miglioramento della qualità del patrimonio edilizio residenziale, è censurabile relativamente alla disposizione contenuta nell’articolo 1, comma 1, lettera b), che sostituisce il comma 1, dell’articolo 5, della legge regionale n. 21 del 2010. Detta norma, per le ragioni di seguito specificate, presenta profili di illegittimità costituzionale, con riferimento agli artt. 3 e 97 Costituzione, violando altresì, in ragione del contrasto con norme di principio contenute nel Testo Unico dell’edilizia, l’articolo 117, terzo comma della Costituzione con riferimento alla materia “governo del territorio”. La medesima disposizione regionale, inoltre, legittima deroghe alla disciplina delle distanze tra fabbricati, in violazione del limite dell’ordinamento civile assegnato alla competenza legislativa esclusiva dello Stato dall’articolo 117 secondo comma lettera l) della Costituzione.
In particolare :
l’articolo 1, comma 1, lettera b) sostituisce il comma 1, dell’articolo 5, della legge regionale n. 21 del 2010, prevedendo : “1. In deroga alle previsioni dei regolamenti comunali e degli strumenti urbanistici e territoriali comunali, provinciali e regionali e nel rispetto di quanto previsto nel presente articolo, alle condizioni e con le modalità previste dalla legge, per migliorare la qualità del patrimonio edilizio esistente, sono ammessi interventi di demolizione e ricostruzione di edifici residenziali e non residenziali, previsti nell'articolo 3, comma 1 lettere a) e b con eventuale riposizionamento dell'edificio all'interno delle aree di pertinenza catastale dell'unità immobiliare interessata, anche conformata con atti successivi alla realizzazione dell'edificio stesso, con realizzazione di un aumento in volumetria entro un limite del 30 per cento di quello esistente alla data di entrata in vigore del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia), convertito con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106.”
La previsione non risulta adeguarsi alla disposizione di principio nella materia “governo del territorio” di cui al comma 1-ter dell’articolo 2-bis del d.P.R. n. 380 del 2001, introdotto dall’ art. 5, comma 1, lett. b), del D.L. 18 aprile 2019, n. 32, convertito, con modificazioni, dalla L. 14 giugno 2019, n. 55, il quale prevede che:
“1-ter. In ogni caso di intervento di demolizione e ricostruzione, quest'ultima è comunque consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti purché sia effettuata assicurando la coincidenza dell'area di sedime e del volume dell'edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell'altezza massima di quest'ultimo.”.

La disposizione regionale in commento, ponendosi in contrasto con la richiamata disciplina statale di riferimento, risulta foriera di distorsioni applicative causando ambiguità e incertezza in ordine alla disciplina applicabile in concreto.
Al riguardo, occorre evidenziare che in particolare, nella sentenza n. 107 del 2017, il Giudice delle leggi ha avuto modo di osservare che “7.2.2.– Vero è che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, non ogni incoerenza o imprecisione di una norma può venire in questione ai fini dello scrutinio di costituzionalità (sentenze n. 86 del 2017 e n. 434 del 2002). Nondimeno, la stessa è invece censurabile, alla luce del principio di razionalità normativa, qualora la formulazione della stessa sia tale da potere dare luogo ad applicazioni distorte (vedi anche la sentenza n. 10 del 1997) o ambigue (sentenza n. 200 del 2012), che contrastino, a causa dei diversi esiti che essa renda plausibili, il buon andamento della pubblica amministrazione, da intendersi quale ordinato, uniforme e prevedibile svolgimento dell’azione amministrativa, secondo principi di legalità e di buona amministrazione.
7.2.3.– D’altro canto questa Corte ha già chiarito che, a differenza di quanto accade per il giudizio in via incidentale, giudizio concreto e senza parti necessarie, «il giudizio in via principale può concernere questioni sollevate sulla base di interpretazioni prospettate dal ricorrente come possibili» (sentenza n. 412 del 2004; nello stesso senso, sentenza n. 3 del 2016) o «prospettate in termini dubitativi o alternativi» (sentenza n. 189 del 2016). Orientamenti, questi, che sebbene elaborati in riferimento ai requisiti di ammissibilità, servono altresì ad evidenziare che nel giudizio in via d’azione vanno tenute presenti anche le possibili distorsioni applicative di determinate disposizioni legislative; e ciò ancor di più nei casi in cui su una legge non si siano ancora formate prassi interpretative in grado di modellare o restringere il raggio delle sue astratte potenzialità applicative (sentenze n. 449 del 2005, n. 412 del 2004 e n. 228 del 2003).
Si è parimenti affermato, con riferimento anche all’impugnativa regionale, che possono risultare costituzionalmente illegittime «per irragionevolezza […] norme statali dal significato ambiguo, tali da porre le Regioni in una condizione di obiettiva incertezza, allorché a norme siffatte esse debbano attenersi nell’esercizio delle proprie prerogative di autonomia» (sentenza n. 160 del 2016).
Ciò vale, a maggior ragione, nel caso in cui l’ambiguità semantica riguardi una disposizione regionale foriera di sostanziali dubbi interpretativi che rendono concreto il rischio di un’elusione del principio fondamentale stabilito dalla norma statale. In questa ipotesi, l’esigenza unitaria sottesa al principio fondamentale è pregiudicata dal significato precettivo non irragionevolmente desumibile dalla disposizione regionale: lungi dal tradursi in un mero inconveniente di fatto, l’eventuale distonia interpretativa, contraddittoria rispetto alla norma statale, costituisce conseguenza diretta della modalità di formulazione della disposizione, che deve essere dichiarata, dunque, costituzionalmente illegittima.”.
Infine, nella sentenza n. 89 del 2019, la Corte costituzionale ha avuto modo di affermare che “…«possono trovare ingresso, nel giudizio in via principale, questioni promosse in via cautelativa ed ipotetica, sulla base di interpretazioni prospettate soltanto come possibili, purché non implausibili e comunque ragionevolmente desumibili dalle disposizioni impugnate» (ex multis, sentenza n. 103 del 2018, punto 4.1. del Considerato in diritto). Nel giudizio in via principale possono dunque essere dedotte «anche le lesioni in ipotesi derivanti da distorsioni interpretative delle disposizioni impugnate» (sentenza n. 270 del 2017, punto 4.2. del Considerato in diritto).”.
Alla luce delle dirimenti considerazioni espresse dalla Consulta, l’articolo 1, comma 1, lett. b) della legge regionale in esame, che contiene disposizioni che si sovrappongono e si differenziano dal comma 1-ter dell’articolo 2-bis del d.P.R. n. 380 del 2001, appaiono presentare profili di illegittimità costituzionale, con riferimento agli artt. 3 e 97 Cost. e, in via subordinata, in ragione del contrasto con il parametro interposto rappresentato dallo stesso comma 1-ter dell’articolo 2-bis del medesimo d.P.R., nel senso sopra precisato, violano l’articolo 117, terzo comma della Costituzione “governo del territorio”.
Sotto altro aspetto, si registra la soppressione nella disposizione in commento del richiamo alla salvezza del codice civile. Tale eliminazione lascia supporre che con la nuova formulazione si intenda non solo introdurre deroghe in materia di limiti di distanza tra i fabbricati per interventi puntuali, ma anche derogare alle disposizioni del codice civile.
In proposito, va segnalato che, ai sensi del comma 1, dell’articolo 2-bis del TUE “1. Ferma restando la competenza statale in materia di ordinamento civile con riferimento al diritto di proprietà e alle connesse norme del codice civile e alle disposizioni integrative, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono prevedere, con proprie leggi e regolamenti, disposizioni derogatorie al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, e possono dettare disposizioni sugli spazi da destinare agli insediamenti residenziali, a quelli produttivi, a quelli riservati alle attività collettive, al verde e ai parcheggi, nell'ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali.”.
In proposito, si ritiene opportuno rammentare che il DM 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765) trova la sua forza cogente nell’art. 41-quinquies della legge urbanistica n. 1150/42, così come aggiunto dall’art. 17 della legge n. 6 agosto 1967 n. 765 e trae da questa la forza di integrare con efficacia precettiva il regime civilistico delle distanze nelle costruzioni, vincolando in tal senso l’attività legislativa delle regioni. Le norme in materia di distanze contenute all’art. 9 del DM 1444/68 hanno per consolidata giurisprudenza costituzionale (cfr., da ultimo, sentenza n. 50 del 2017), carattere inderogabile e rientrano nella competenza legislativa dello Stato in materia di ordinamento civile. Secondo consolidata giurisprudenza costituzionale, tale norma va intesa nel senso che, ferma restando la competenza legislativa statale esclusiva sulla disciplina delle distanze minime tra costruzioni, ascrivibile alla materia dell'ordinamento civile, alle Regioni è consentito fissare limiti in deroga alle distanze minime stabilite dalla normativa statale, unicamente a condizione che tale deroga sia giustificata dall'esigenza di soddisfare interessi pubblici legati al governo del territorio. La legislazione regionale che interviene sulle distanze, interferendo con l'ordinamento civile, è quindi legittima solo se persegue chiaramente finalità di carattere urbanistico, demandando l'operatività dei suoi precetti a «strumenti urbanistici funzionali ad un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio». Tale orientamento è stato recepito dal legislatore statale con l’art. 2-bis del d.P.R. n. 380/2001, “inserendo nel testo unico sull’edilizia i principi fondamentali della vincolatività, anche per le regioni e le province autonome, delle distanze legali stabilite dal decreto del Ministero dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 e dell’ammissibilità di deroghe solo a condizione che esse siano «inserite in strumenti urbanistici, funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio» (sentenza n. 134 del 2014; da ultimo, sentenze n. 231, n. 185 e n. 178 del 2016).”(cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 50 del 2017).
Pertanto, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale sul riparto di competenze in tema di distanze legali, «la disciplina delle distanze minime tra costruzioni rientra nella materia dell’ordinamento civile e, quindi, attiene alla competenza legislativa statale; alle Regioni è consentito fissare limiti in deroga alle distanze minime stabilite nelle normative statali, solo a condizione che la deroga sia giustificata dall’esigenza di soddisfare interessi pubblici legati al governo del territorio. Dunque, se da un lato non può essere del tutto esclusa una competenza legislativa regionale relativa alle distanze tra gli edifici, dall’altro essa, interferendo con l’ordinamento civile, è rigorosamente circoscritta dal suo scopo - il governo del territorio - che ne detta anche le modalità di esercizio» (sentenza n. 6 del 2013; nello stesso senso, sentenze n. 134 del 2014 e n. 114 del 2012; ordinanza n. 173 del 2011).”. (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 231 del 2016).
Inoltre, circa l’inapplicabilità di deroghe alle distanze per interventi puntuali, non operate nell’ambito «strumenti urbanistici funzionali ad un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio», si precisa che la Corte costituzionale, nella sentenza n. 41 del 2017, ha dichiarato l’incostituzionalità di disposizione di altra legge regionale volta a legittimare interventi diretti a singoli edifici, in aperto contrasto con le indicazioni interpretative offerte dalla stessa Corte.
Legittimando deroghe alla disciplina delle distanze tra fabbricati al di fuori dell’ambito della competenza regionale concorrente in materia di governo del territorio, la disposizione in commento, contrasta con il comma 1, dell’articolo 2-bis del TUE, con le indicazioni interpretative fornite dalla Consulta, con le disposizioni di cui all’articolo 873 del codice civile, in violazione del limite dell’ordinamento civile assegnato alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.
Per i motivi sopra esposti la legge regionale, limitatamente alla disposizione evidenziata, deve essere impugnata ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.
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