Dettaglio legge regionale
Titolo | Nuove norme in materia di autorizzazione ed accreditamento delle strutture sanitarie pubbliche e private. Abrogazione della legge regionale n. 34 del 1998 e modifiche alle leggi regionali n. 2 del 2003, n. 29 del 2004 e n. 4 del 2008. |
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Regione | Emilia Romagna |
Estremi | Legge n. 22 del 06-11-2019 |
Bur | n. 356 del 06-11-2019 |
Settore | Politiche socio sanitarie e culturali |
Delibera C.d.M. | 21-12-2019 / Non impugnata |
La legge della Regione Emilia Romagna del 6-11-2019, n. 22 recante “Nuove norme in materia di autorizzazione ed accreditamento delle strutture sanitarie pubbliche e private. Abrogazione della legge regionale n. 34 del 1998 e modifiche alle leggi regionali n. 2 del 2003, n. 29 del 2004 e n. 4 del 2008”, presenta i seguenti profili d’illegittimità costituzionale. Alcune norme della legge regionale in esame riguardanti i processi autorizzativi e quelli di accreditamento delle strutture sanitarie si pongono in contrasto con i principi fondamentali in materia di tutela della salute stabiliti dalla legislazione statale di riferimento, in violazione dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione. In particolare. 1) L’art. 5, comma 3, lettera b), rimette alla Giunta regionale l’individuazione, con pro pria deliberazione, delle “tipologie di strutture che, per la complessità delle prestazioni erogate e per il rischio che queste comportano per i pazienti o per gli operatori, per le loro dimensioni o per le loro caratteristiche organizzative, sono assoggettate all'autorizzazione all’esercizio, nonché le tipologie di strutture assoggettate alla sola comunicazione di svolgimento di attività sanitaria”. Tale disposizione regionale non appare in linea con quanto previsto dall’articolo 8-ter, rubricato “Autorizzazioni alla realizzazione di strutture e all'esercizio di attività sanitarie e sociosanitarie”, comma 2, del d.lgs. n. 502/92, a norma del quale: “La realizzazione di strutture e l'esercizio di attività sanitarie e sociosanitarie sono subordinate ad autorizzazione. Tali autorizzazioni si applicano alla costruzione di nuove strutture, all'adattamento di strutture già esistenti e alla loro diversa utilizzazione, all'ampliamento o alla trasformazione nonché al trasferimento in altra sede di strutture già autorizzate, con riferimento alle seguenti tipologie: a) strutture che erogano prestazioni in regime di ricovero ospedaliero a ciclo continuativo o diurno per acuti; b) strutture che erogano prestazioni di assistenza specialistica in regime ambulatoriale, ivi comprese quelle riabilitative, di diagnostica strumentale e di laboratorio; c) strutture sanitarie e sociosanitarie che erogano prestazioni in regime residenziale, a ciclo continuativo o diurno. 2. L'autorizzazione all'esercizio di attività sanitarie è, altresì, richiesta per gli studi odontoiatrici, medici e di altre professioni sanitarie, ove attrezzati per erogare prestazioni di chirurgia ambulatoriale, ovvero procedure diagnostiche e terapeutiche di particolare complessità o che comportino un rischio per la sicurezza del paziente, individuati ai sensi del comma 4, nonché per le strutture esclusivamente dedicate ad attività diagnostiche, svolte anche a favore di soggetti terzi”. Ed infatti, a fronte di una norma statale che puntualmente delinea il regime autorizzatorio (sub specie di autorizzazione alla realizzazione e all’esercizio) delle strutture sanitarie e sociosanitarie - assoggettando al medesimo regime anche gli studi medici, odontoiatrici o di altre professioni che eroghino prestazioni complesse o pericolose -, la disposizione regionale sopra citata, circoscrivendo testualmente il proprio ambito di applicazione alle sole “strutture”, sottrae al regime autorizzatorio gli studi medici, odontoiatrici e di altre professioni sanitarie, anche ove questi ultimi eroghino prestazioni di particolare complessità o che comportino un concreto rischio per la sicurezza del paziente (cfr. ex multis TAR Veneto, sentenza n. 822 del 2016; Consiglio di Stato, sentenza n. 23 del 2017; Consiglio di Stato, sentenza n. 5605 del 2019). La disposizione regionale avrebbe dovuto invece assoggettare espressamente gli studi che erogano prestazioni rischiose all’autorizzazione, tenuto anche conto che, diversamente, per tali studi non sarebbe previsto alcun regime amministrativo, con conseguente violazione dei principi fondamentali statali volti ad assicurare l'idoneità e la sicurezza delle cure, e, dunque, dell’art. 117, terzo comma, Cost. Al riguardo, si rammenta che la Corte costituzionale ha evidenziato come “la competenza regionale in materia di autorizzazione e vigilanza sulle istituzioni sanitarie private debba senz'altro essere inquadrata nella più generale potestà legislativa concorrente in materia di tutela della salute, che vincola le Regioni al rispetto dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato (sentenze n. 134 del 2006 e n. 200 del 2005)” (sentenza n. 292 del 2012, e, nello stesso senso, sentenza n. 260 del 2012 e sentenza n. 59 del 2015). Ne consegue che, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., le scelte del legislatore regionale devono svolgersi nel rispetto dei principi fondamentali in materia di tutela della salute riservati alla legislazione dello Stato (sentenze n. 162 del 2004 e n. 282 del 2002). Pertanto, una disciplina regionale che esclude, sia pure implicitamente, che studi medici ed odontoiatrici siano tenuti a munirsi di autorizzazione, si porrebbe in contrasto con gli artt. 8 e 8-ter del d.lgs. n. 502 del 1992, i quali, «stabiliscono ‘requisiti minimi’ di sicurezza e qualità per poter effettuare prestazioni sanitarie» (sent. 292 del 2012) ed esprimono principi fondamentali nella materia «tutela della salute» (sent. n. 245 e n. 150 del 2010). 2) L’art. 6, comma 1, prevede che “La realizzazione di nuove strutture sanitarie, l'ampliamento, l'adattamento o la trasformazione di quelle esistenti, limitatamente alle tipologie di cui all'articolo 5, comma 3, lettera a), sono assoggettati ad apposita autorizzazione rilasciata dalla Regione, coerentemente a quanto stabilito dall'articolo 8-ter, comma 3, del decreto legislativo n. 502 del 1992”. Tale norma regionale, pur richiamando, in generale, l’articolo 8-ter, comma 3, del d.lgs. 502 del 1992, attribuisce poi alla Regione (e non al Comune, come dispone invece la norma statale) il rilascio dell’autorizzazione alla realizzazione. Essa si pone pertanto in contrasto proprio con il richiamato articolo 8-ter, comma 3, del d.lgs. 502 del 1992, che rimette al Comune il compito di rilasciare l’autorizzazione di cui trattasi, previa, peraltro, verifica di compatibilità del progetto da parte della Regione, verifica che “è effettuata in rapporto al fabbisogno complessivo e alla localizzazione territoriale delle strutture presenti in ambito regionale, anche al fine di meglio garantire l'accessibilità ai servizi e valorizzare le aree di insediamento prioritario di nuove strutture”. La Corte Costituzionale, che si è di recente (sentenza n. 98 del 2018) pronunciata in merito, ha sottolineato che “l’art. 8-ter comma 3, del d.lgs. 502 del 1992, prevede che per la realizzazione di strutture sanitarie e socio sanitarie siano sempre necessari due tipi di valutazioni: una valutazione relativa alla conformità urbanistico edilizia dell’opera è [di competenza comunale] e una valutazione di politica sanitaria [demandata alla Regione]”. Ne consegue anche in tal caso - ai sensi dell’art. 19 del d. lgs. n. 502 del 1992 e delle menzionate pronunce della Consulta (sent. 292 del 2012, n. 245 e n. 150 del 2010), secondo le quali le norme del d. lgs. n. 502 del 1992 esprimono principi fondamentali nella materia «tutela della salute» - la violazione di detti principi fondamentali attribuiti alla legislazione statale dall’art. 117, terzo comma, della Costituzione. 3) l’art. 7, comma 2, prevede che “l’autorizzazione all’esercizio [sia] richiesta per strutture che erogano prestazioni in regime di ricovero a ciclo continuativo o diurno e per le strutture sanitarie che erogano prestazioni diagnostiche e terapeutiche di particolare complessità o che comportino un rischio per la sicurezza del paziente o per gli operatori, nonché per le strutture con caratteristiche organizzative di particolare complessità. Inoltre lo stesso art. 7, al comma 3, prevede che “Per le strutture sanitarie non incluse nel comma 2, caratterizzate da minore complessità clinica ed organizzativa, è prevista la presentazione della comunicazione di svolgimento dell’attività sanitaria ”. Anche in tal caso, la disciplina regionale non appare in linea con l’articolo 8-ter del d.lgs. 502/1992 per le ragioni già esposte al punto 1) relativamente all’art. 5 della legge regionale in esame. Le norme regionali sopra descritte menzionano infatti solo le strutture che erogano prestazioni in regime di ricovero a ciclo continuativo o diurno e non anche quelle ambulatoriali e residenziali di cui alle lett. b) e c) del citato art. 8-ter che sono parimenti soggette ad autorizzazione alla realizzazione e all’esercizio; inoltre, l’art. 7 in esame fa riferimento a strutture che erogano prestazioni diagnostiche e terapeutiche di particolare complessità o che comportino un rischio per la sicurezza del paziente o per gli operatori, nonché alle strutture con caratteristiche organizzative di particolare complessità tralasciando di considerare gli studi medici, odontoiatrici e di altre professioni sanitarie che ben possono, come già in precedenza evidenziato, erogare prestazioni complesse e rischiose. 4) L’art. 8, comma 6, prevede che “qualora all’interno della stessa struttura fisica esercitino la propria attività più aziende o soggetti, questo dovrà essere riportato chiaramente nel provvedimento autorizzativo indicando quale tra i soggetti assume la responsabilità complessiva sulla struttura ai fini dell’autorizzazione”. Tale disposizione sembra consentire il rilascio di un’unica autorizzazione riferibile complessivamente a più soggetti o aziende, che, in quanto distinti, eserciterebbero comunque alcune (o tutte) le attività sanitarie previste nella struttura interessata in maniera autonoma e indipendente, salva la responsabilità complessiva in capo ad un unico soggetto. Al riguardo, pur volendo prescindere dalle difficoltà che potrebbero incontrarsi nella verifica dei rapporti giuridici tra i diversi soggetti interessati, è doveroso rammentare che, dall’analisi della giurisprudenza, è possibile dedurre quanto segue. In primo luogo, i riferiti strumenti autorizzatori, per l’importanza degli interessi pubblici coinvolti - embricati nell’art. 32 Cost. -, sono necessariamente rilasciati a condizione della contestuale presenza di requisiti soggettivi (titolarità e moralità del titolare) ed oggettivi (idoneità della struttura). In secondo luogo, visto il loro carattere fiduciario, hanno natura strettamente personale sicché non sono in alcun modo trasmissibili tramite negozi privatistici (per il generale principio d’immutabilità dei soggetti autorizzati nei rapporti con la Pubblica Amministrazione). Ne deriva che il soggetto che, previa verifica del possesso dei requisiti, divenga titolare di autorizzazione, deve necessariamente coincidere con la persona del gestore dell’attività sanitaria assentita (così Consiglio di Stato, Sezione IV, 28 maggio 2002, n. 2940, che afferma il principio del permesso ob rem ac personam). Tanto premesso, considerato che la competenza regionale in tema di autorizzazione e vigilanza delle istituzioni sanitarie private va inquadrata nella potestà legislativa concorrente in materia di tutela della salute di cui all’art. 117, comma terzo, Cost. (cfr. anche articolo 19, d.lgs. n. 502 del 1992), resta, comunque, precluso alle Regioni derogare a norme statali che fissano principi fondamentali (in tal senso, ex multis, Corte cost., 7 giugno 2013, n. 132) quali devono considerarsi quelli di cui trattasi. 5) L’art. 15, comma 4, laddove prevede che “le attività di verifica finalizzate ad accertare il possesso dei requisiti di accreditamento, mediante sopralluoghi presso la struttura interessata, sono effettuate dall’organismo tecnicamente accreditante entro sei mesi dalla concessione dell’accreditamento”, appare non in linea con il principio generale ricavabile dall’art-8-quater del d.lgs. n. 502/1992, secondo cui l’accreditamento può essere concesso solo dopo la verifica dei requisiti prescritti. A fronte della citata disposizione statale a norma della quale “L’accreditamento istituzionale è rilasciato dalla regione alle strutture autorizzate, pubbliche o private ed ai professionisti che ne facciano richiesta, subordinatamente alla loro rispondenza ai requisiti ulteriori di qualificazione, alla loro funzionalità rispetto agli indirizzi di programmazione regionale e alla verifica positiva dell'attività svolta e dei risultati raggiunti”, la disposizione regionale, invece, consente di posporre, fino ad un massimo di sei mesi, tale verifica al rilascio dell’accreditamento istituzionale. Il che è inammissibile, considerata la ratio del sistema dell’accreditamento, che va qualificato come meccanismo di garanzia della qualità delle cure erogate. Per i motivi esposti, le norme regionali sopra indicate devono essere impugnate dinanzi alla Corte Costituzionale , ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione. |