Dettaglio legge regionale

Dettaglio legge regionale
Titolo Misure a sostegno dei proprietari di immobili abusivi acquistati in oggettiva buona fede e modifiche urgenti di leggi regionali in materia di governo del territorio”
Regione Campania
Estremi Legge n. 6 del 12-03-2020
Bur n. 42 del 16-03-2020
Settore Politiche infrastrutturali
Delibera C.d.M. 15-05-2020 / Non impugnata
La legge regionale è censurabile relativamente alla disposizione contenuta nell’articolo 5 che, per le motivazioni di seguito indicate viola il principio di ragionevolezza di cui agli articoli 3 e 97 della Costituzione .
In particolare l’articolo 5 della legge regionale prevede modifiche alla legge regionale 10 dicembre 2003, n. 21,recante “Norme urbanistiche per i Comuni rientranti nelle zone a rischio vulcanico dell'area vesuviana” disponendo:
“a) il comma 2 dell'articolo 2 è sostituito dal seguente:
"2. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge è vietato alle amministrazioni competenti assumere provvedimenti di approvazione o di esecutività previsti da disposizioni di legge vigenti in materia, degli strumenti attuativi dei piani regolatori generali dei comuni individuati all'articolo 1, comportanti nuova edificazione a scopo residenziale, ad eccezione degli edifici realizzati precedentemente alla data di entrata in vigore della presente legge, per tali intendendosi anche gli immobili per i quali risultano pendenti procedimenti di condono ai sensi della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie) e della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica.);
b) il comma 2-bis dell'articolo 2 è abrogato;
c) il comma 1-bis dell'articolo 5 è abrogato.

Si premette che la legge regionale 10 dicembre 2003, n. 21 vieta espressamente nuove edificazioni nella c.d. "zona rossa", nella quale sono compresi i comuni rientranti nelle zone a rischio vulcanico dell'area vesuviana.
Recenti pronunce dal Consiglio di Stato (sent. n. 4465 del 23.07.2018 e n. 5381 del 30.07.2019) , rigettando l'appello di soggetti interessati al rilascio di condono edilizio nel Comune di Ercolano, ha interpretato l'articolo 5 della legge regionale n. 21 del 2003 — che vieta il rilascio di titoli edilizi abilitanti la realizzazione di nuova edilizia residenziale in detta area — nel senso che non possano accedere alla sanatoria anche coloro che abbiano già presentato istanze di condono edilizio nei tempi richiesti, ciò al fine di tutelare il prevalente interesse all'incolumità pubblica.
La norma regionale in esame, interviene, sostituendolo, sull'articolo 2, comma 2, della legge n. 21/2003, escludendo dal divieto di nuova edificazione a scopo residenziale “gli edifici realizzati precedentemente alla data di entrata in vigore della presente legge, per tali intendendosi anche gli immobili per i quali risultano pendenti procedimenti di condono ai sensi della legge 28 febbraio 1985, n. 47 e della legge 23 dicembre 1994, n. 724.”
La disposizione regionale in esame, estendendo agli immobili abusivi edificati in “zona rossa” per i quali pende istanza di sanatoria, la possibilità di rilascio del titolo abilitativo, presenta indubbi contenuti i innovativi e dunque finisce per dare una interpretazione autentica alla legge n. 21 del 2003, con efficacia retroattiva, in evidente contrasto con l’articolo 97 della Costituzione.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 73/2017 ha ribadito che : “… Al legislatore non è preclusa la possibilità di emanare norme retroattive sia innovative che di interpretazione autentica. La retroattività deve, tuttavia, trovare adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza attraverso un puntuale bilanciamento tra le ragioni che ne hanno motivato la previsione e i valori, costituzionalmente tutelati, al contempo potenzialmente lesi dall’efficacia a ritroso della norma adottata (sentenza n. 170 del 2013, che riassume sul tema le costanti indicazioni di principio espresse dalla Corte).”
La norma regionale in esame, dettando dunque prescrizioni del tutto innovative, travalica i limiti individuati dalla giurisprudenza costituzionale sopra richiamata, in violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione.
Deve inoltre sottolinearsi, con riferimento all’articolo 97 della costituzione , la contraddittorietà che consegue dall’introdurre da una parte vincoli di inedificabilità giustificati dalla tutela di valori di rango costituzionale quale quello della pubblica e privata incolumità, e dall’altro consentendo la legalizzazione di

abusi.
Va infatti considerato che il sistema della legislazione regionale campana in subiecta materia è ispirato proprio al principio che nelle aree di cui alla legge regionale n.21 del 2003 non possono essere realizzate e mantenute costruzioni ad eccezione di quelle legittimamente costruite sulla base delle relative prescrizioni urbanistiche.
Tale principio è la lineare conseguenza del fatto che il legislatore regionale ha tenuto conto della particolare pericolosità della zona e dell'esigenza di contenere il carico urbanistico caratterizzato dalla stabile presenza delle persone, anche nell'ottica di agevolare i piani di emergenza (elaborati in attuazione del decreto 9 agosto 1993, n. 516 del Sottosegretario di Stato alla protezione civile ed aventi per oggetto l'"area vesuviana connessa a situazioni derivanti dal rischio vulcanico").
E tanto determina che la medesima legislazione regionale, sul divieto di rilascio dei titoli abilitativi nella zona rossa per le costruzioni destinate a residenze, non risulta in contrasto con i principi costituzionali di ragionevolezza o di uguaglianza (in termini Consiglio di Stato, VI, n.4465 del 2018).
La normativa regionale ha preso atto della oggettiva difficoltà - anche di natura organizzativa, stante anche il suo peculiare assetto viario - che vi sia la rapida ed ordinata evacuazione della zona rossa, quando siano coinvolte intere famiglie, sicché si è inteso non aumentare, per quanto possibile, il numero degli abitanti e sono state previste misure volte invece a ridurlo concretamente.
Rilevano dunque i principi enunciati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 133 del 1971, per la quale il legislatore ben può introdurre "in modo generale ed obiettivo una disciplina in forza della quale alcune categorie di beni vengono nell'interesse sociale assoggettati ad un particolare regime", "individuabili ed individuati in categorie per le caratteristiche derivanti dalla loro posizione".
Poiché sussiste l'"interesse sociale" al contenimento dell'edilizia residenziale nella zona rossa in questione, non risultano dunque profili di illegittimità costituzionale della legislazione regionale campana nelle parti in cui hanno sancito la presunzione di pericolosità, preclusiva di accoglimento delle domande di condono.

Risulta però eccentrica rispetto a tale quadro ordinamentale la normativa in esame in cui, di contro, si sancisce la condonablità degli abusi realizzati in data anteriore all’entrata in vigore della legge stessa, con conseguente irragionevolezza della relativa disciplina (art.3 e 97 Cost.).
La normativa regionale sul condono, più volte modificata, si è dunque costantemente ispirata al principio tempus regit actum, per il quale va valutata la compatibilità attuale del manufatto realizzato abusivamente con la normativa vigente e con i vincoli rilevanti alla data in cui l'istanza è definita al termine del relativo procedimento.
In base a tale regola, rilevano le leggi vigenti e gli atti impositivi dei vincoli, efficaci alla data in cui è emesso il provvedimento conclusivo del procedimento sul condono.
Non si può al riguardo ritenere che vi sia una rilevanza 'retroattiva' dei vincoli e delle ragioni ostative all'emanazione degli atti di condono, poiché per il principio tempus regit actum rileva il complessivo regime giuridico dell'area, rilevante alla data di emanazione dell'atto di conclusione del procedimento.
Non è dunque invocabile l’affidamento del proponente all’accoglimento dell’istanza di condono già proposta.
Come si desume anche dalla ratio decidendi della sentenza dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 20 del 1999, non si può ritenere al riguardo che si incida sull'affidamento di chi abbia proposto una domanda di condono: rileva invece l'esigenza che l'atto conclusivo del procedimento valuti tutti gli interessi pubblici coinvolti (per come giuridicamente presi in considerazione dalla normativa pur sopravvenuta rispetto alla proposizione della istanza), dovendosi anche considerare la mancata attivazione da parte dell'interessato dei rimedi volti ad indurre l'Amministrazione a concludere senza ritardo il procedimento.
Il principio tempus regit actum non trova eccezione con riferimento alla normativa sulla 'zona rossa', la quale è volta a tutelare non gli aspetti paesaggistici, ma l'incolumità pubblica e privata.
Il legislatore regionale, nell'introdurre il divieto assoluto di edificabilità di particolari tipologie di edifici, ha posto dunque una presunzione di pericolosità della zona in questione (di cui non é stata neanche ipotizzata la manifesta irragionevolezza, che comunque va esclusa in ragione degli studi storici e scientifici aventi per oggetto l'area vesuviana) ed ha introdotto misure limitative strettamente connesse tra loro, e cioè quelle volte a non far realizzare ulteriori opere destinate alla residenza e quelle preclusive del condono Va peraltro evidenziato che la norma contiene un divieto per gli amministratori comunali dell’area interessata di adottare provvedimenti di approvazione di strumenti urbanistici esecutivi o piani di attuazione dei piani regolatori generali, comportanti nuova edificazione a scopo residenziale, salvo che in tali aree vi fossero immobili già edificati. La deroga al divieto stabilito dalla norma in esame, può avere senso solo se riferita agli immobili legittimamente edificati nella zona rossa.
Al riguardo, si precisa che il piano urbanistico attuativo può essere adottato o su iniziativa del privato, proprietario dell’area di sedime e dell’immobile ivi realizzato, che propone al comune una convenzione o per un prevalente interesse pubblico che induce il comune ad espropriare l’area in oggetto. In entrambi i casi il piano urbanistico attuativo non può contemplare immobili abusivi: nel primo perché non può trovare accoglimento l’istanza del privato che si fonda su un fatto illecito (reato edilizio); nel secondo non è ipotizzabile un prevalente interesse pubblico coincidente con il mantenimento dell’immobile abusivo, che rimarrebbe nella disponibilità del privato. In ogni caso, il TU edilizia (dPR 380/2001) pone a carico dei Comuni l’obbligo di demolire gli immobili abusivi (art. 31 comma 5 del dpr 380/2001) che, peraltro, decorsi novanta giorni dall’ingiunzione a demolire, notificata dal comune, vengono acquisiti al patrimonio del Comune che procede anche a trascrizione nei registri immobiliari, circostanza questa che rende ancor più irragionevole la previsione normativa censurata.
E’ comunque pacifico che gli immobili costruiti abusivamente nell’ipotesi di espropriazione per pubblica utilità non siano suscettibili di indennizzo a meno che, alla data dell’evento ablativo, non risulti già rilasciata la concessione in sanatoria.

Per i motivi sopra specificati la legge regionale, limitatamente alla disposizione contenuta nell’articolo 5, deve essere impugnata ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.
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