Dettaglio legge regionale

Dettaglio legge regionale
Titolo Misure straordinarie di sostegno al settore lattiero–caseario.
Regione Puglia
Estremi Legge n. 13 del 15-05-2020
Bur n. 68 del 15-05-2020
Settore Politiche economiche e finanziarie
Delibera C.d.M. 13-07-2020 / Non impugnata
La legge della Regione Puglia 15 maggio 2020, n. 13 pubblicata' sul B.U.R n. 68 del
15/05/2020 recante "Misure straordinarie di sostegno al settore lattiero
caseario' reca disposizioni illegittime per quanto di seguito evidenziato:

La legge regionale in oggetto contempla talune disposizioni che appaiono costituzionalmente illegittime, in quanto contrastanti con la competenza esclusiva statale in materia di «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema" (art. 117, comma 2, lett. s), Cost.), materia, quest'ultima "trasversale" e "prevalente", che si impone integralmente nei confronti delle Regioni che non possono contraddirla, ed a cui fa capo la disciplina dei rifiuti, spettando allo Stato, per costante giurisprudenza costituzionale, la competenza a fissare livelli di tutela uniforme sull'intero territorio nazionale.

Infatti, il carattere trasversale della materia della tutela dell'ambiente se, da un lato, legittima le Regioni a provvedere attraverso la propria legislazione esclusiva o concorrente in relazione a temi che hanno riflessi sulla materia ambientale, dall'altro non costituisce limite alla competenza esclusiva dello Stato a stabilire regole omogenee nel territorio nazionale per procedimenti e competenze che attengono alla tutela dell'ambiente e alla salvaguardia del territorio ((cx plurimis, sentenze n. 150 e
n. 151 del 2018; n. 244 del 2016, n. 249 del 2009 Corte Cost.).

Ciò premesso, si evidenzia nel dettaglio quanto segue.

A) Il comma 1 dell'articolo 3 della legge regionale stabilisce che: " Per 'le finalità di cui
all'articolo 1 è consentito fino al 30 settembre 2020, il conferimento di siero e dei sottoprodotti a base di latte derivanti dalle lavorazioni lattiero-casearie, quali sottoprodotti di origine alimentare ('504) presso gli impianti termoelettrici alimentati a biogas con nesso agricolo già autorizzati in Puglia alla fermentazione o cofermentazione anaerobica ai sensi del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n,387 (Attuazione della direttiva 200117710E relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità), in deroga alla composizione delle matrici in ingresso ai medesimi impianti contenuta nelle singole autorizzazioni rilasciate ai sensi del dlgs. 38712003, a condizione che questi abbiano ricevuto dall'autorità sanitaria competente il riconoscimento condizionato ai sensi del regolamento (CE) 21 ottobre 2009, n. 10691200910E (Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme sanitarie relative ai sottoprodotti di origine animale e ai prodotti derivati non destinati al consumo umano e che abroga il regolamento (CE) n. 177412002 (regolamento sui sottoprodotti di origine animale)), ai fini dello smaltimento di cui all'articolo 14, letteraJ), del medesimo regolamento".
Detta previsione, nella sua attuale formulazione, sembra voler autorizzare, seppur temporaneamente, il conferimento dei residui del settore lattiero caseario presso gli impianti termoelettrici alimentati a biogas, in deroga alla composizione delle matrici in ingresso ai medesimi impianti e, quindi, alle autorizzazioni rilasciate ai sensi del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387.
Il medesimo comma 1 introduce, altresì, per tali residui la definizione di "sottoprodotti di origine alimentare" intendendo verosimilmente con tale termine la definizione dì sottoprodotti di origine animale di cui al regolamento (CE) n. 1069/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 ottobre 2009.
Dalla lettura del regolamento 1069/2009 risulta che i sottoprodotti di origine animale si ottengono prevalentemente durante la macellazione di animali destinati al consumo umano, durante la produzione di prodotti dì origine animale come i prodotti lattiero-caseari, durante lo smaltimento dei cadaveri di animali e nell'ambito di provvedimenti di lotta alle malattie. Pertanto, ai materiali derivati della lavorazione lattiero-casearia è da ritenersi estensibile l'ambito di applicazione del citato regolamento 1069/2009.
Parallelamente, poi, alle previsioni del regolamento 1069/2009, l'articolo 5, par. 1, lett. a), b), e) e d), della direttiva 2008/98/CE - cui in parte qua dà attuazione, nell'ordinamento interno, l'articolo 184-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006 - prevede che una sostanza o un prodotto derivanti da un processo produttivo il cui scopo primario non è la produzione di tale articolo può non essere considerato un rifiuto ma un sottoprodotto purché siano rispettate alcune specifiche condizioni che devono concorrere.
Più esattamente, è necessario che la sostanza o il prodotto di cui si tratta: 1) sia con certezza ulteriormente utilizzato; 2) possa essere utilizzato direttamente, senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale; 3) sia prodotto come parte integrante di un processo di produzione; 4) soddisfi, per l'utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell'ambiente e non porti a impatti complessivi negativi sull'ambiente o sulla salute umana (cd. legalità dell'utilizzo).
D'altra parte, vero è che la direttiva 2008/98/CE, all'articolo 2, par. 2, lett. b), esclude dal proprio campo di applicazione, tra gli altri, i SOA, ma solo nella misura in cui essi sono contemplati da altra normativa sovranazionale. Il che vuol dire che la deroga in favore di altra normativa comunitaria è riferita alla materia disciplinata dalla stessa e che l'esclusione dall'ambito dei rifiuti, in ogni caso, non riguarda i sottoprodotti di origine animale destinati alle varie forme di smaltimento citate dalla norma (Cfr. ex multis: Cass. Pen., sez. III, sentenza n. 2710 del 2012; Cass. Pen., sez. III sentenza n. 5032 del 2012).
Passando al regime nazionale, è da dire che il decreto legislativo n. 152 del 2006, per un verso reca norme concernenti i sottoprodotti in senso stretto, corrispondenti a quelle europee (artt. 183, comnia 1, lett. qq), e 184-bis); per altro verso, dedica specifiche previsioni ai SOA, in particolare stabilendo che sono esclusi dall'ambito di applicazione della parte quarta del presente decreto, in quanto sono regolate da specifiche disposizioni comunitarie altre sostanze, tra le quali, appunto, i sottoprodotti di origine animale, compresi i prodotti trasformati, contemplati dal regolamento (CE) n. 1774/2002 (oggi: regolamento (CE) n. 1069/2009), eccetto quelli destinati all'incenerimento, allo smaltimento in discarica o all'utilizzo in un impianto di produzione di biogas o di compostaggio (art. 185, comma 2, lett. b).
In merito all'anzidetta clausola di esclusione (nelle diverse formulazioni che essa ha conosciuto per effetto di svariate rielaborazioni), si è consolidato nel tempo un orientamento della giurisprudenza di legittimità di stampo rigorosamente restrittivo, ispirato dall'esigenza di operare una ricostruzione del quadro giuridico in materia di SOA "comunitariamente conforme" (ossia conforme alla disciplina europea come sopra ricostruita).
Secondo tale indirizzo, i SOA sono soggetti esclusivamente alla normativa sovranazionale (contenuta attualmente nel regolamento (CE) n. 1609/2009) solo a condizione che essi, al tempo stesso, costituiscano sottoprodotti in senso stretto alla luce dei requisiti previsti dalle pertinenti norme statali; diversamente, in ogni altro caso in cui 'il produttore se ne sia disfatto per destinarli allo smaltimento, i medesimi SOA restano sottoposti alla normativa statale sui rifiuti (Cass. Pen., sez. 111, sentenza n. 25364 del 2012).
A sostegno di questa lettura induce poi il fatto che, analogamente alla direttiva 2008/98/CE, anche il decreto legislativo n. 152 dei 2006 reca - accanto a quella contemplata dall'articolo 185, comma 2 - un'ulteriore disposizione dì esclusione dal campo di applicazione della disciplina sui rifiuti, formulata però in termini netti e senza alcun riferimento ai profili regolati da altra normativa eurounitaria (ari 185, comma 2). Ciò consente di utilizzare l'argomenrum a contrario per osservare che anche il legislatore statale ha inteso graduare la portata delle esclusioni, esplicitando l'integrale sottrazione di determinate sostanze al regime giuridico dei rifiuti solo laddove abbia effettivamente inteso procedere in tal senso (non, dunque, per i SOA).
Ne consegue, pertanto, che l'utilizzo dei residui di lavorazione del settore lattiero-caseario negli impianti di produzione di biogas, come previsto dalla legge regionale in commento, non può non prevedere anche l'applicazione della normativa sui rifiuti.
La norma regionale stabilisce, invece, che il conferimento dei residui del settore lattiero-caseario presso gli impianti per la produzione di biogas avvenga in deroga sia alla composizione delle matrici in ingresso ai suddetti impianti e sia alle autorizzazioni degli impianti stessi.
A tal proposito, l'articolo 12, comma 3, del decreto legislativo n. 387 del 2003 stabilisce che "La costruzione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, gli interventi di modifica, potenziamento, rifacimento totale o parziale e riattivazione, come definiti dà/la normativa vigente, nonché le opere connesse e le infrastruuure indispensabili alla costruzione e all'esercizio degli impianti stessi, sono soggetti ad una autorizzazione unica, rilasciata dalla regione o dalle province delegate dalla regione, ovvero, per impianti con potenza termica installata pari o superiore ai 300 MW, dal Ministero dello sviluppo economico, nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell'ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, che costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico".
Da ciò deriva che l'utilizzo dei residui del settore lattiero caseario in tali impianti non può non prevedere lo svolgimento delle opportune valutazioni tecnico-ambientali da parte dell'autorità competente e dunque l'aggiornamento dell'autorizzazione ambìentale prevista.
B) Il successivo comma 4 dell'articolo 3 della legge regionale stabilisce che "... il digestazo prodotto rientra nella classificazione di "digestato agroindusiriale "; prevista dall'articolo 22, comma 3, del decreto del ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali del 25 febbraio 2016 e che ai fin! dello spandimento devono essere rispettate tutte le condizioni prescritte dalla norma di settore attualmente in vigore".
Il decreto ministeriale 25 febbraio 2016, all'articolo 22, coinma 3, stabilisce che il digestato sia considerato sottoprodotto ai sensi dell'art. 184-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.1 52, qualora prodotto esclusivamente da impianti aziendali o interaziendali alimentati con materiali e sostanze specifiche ed è destinato ad utilizzazione agronornica nel rispetto delle disposizioni previste dal medesimo decreto ministeriale.
Tale nonna attribuisce, dunque, al digestato la qualificazione di sottoprodotto ai sensi della normativa ambientale solo se esso è prodotto da specifici impianti che trattano esclusivamente i materiali riportati all'art. 22 comma I del citato decreto ministeriale 25 febbraio 2016.
Da ciò consegue che il comma 4 della norma regionale sembra voler ammettere che il digestato prodotto sia qualificabile quale sottoprodotto ai sensi della norma ambientale, indipendentemente dalla condizione che l'impianto di produzione sia effettivamente aziendale o interaziendale e che la matrice in ingresso a tali impianti sia costituita, esclusivamente, da talune e ben specifiche sostanze.
Sul punto è utile il richiamo alle indicazioni contenute nell'anzidetto decreto ministeriale 25 febbraio 2016, il quale stabilisce che l'utilizzazione agronomica del digestato risulta esclusa dall'ambito di applicazione delle disposizioni di cui alla parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 20069 n. 152, solo qualora siano rispettati i criteri generali e le norme tecniche disciplinati dal medesimo decreto.
In particolare, si richiama l'articolo 29, comma 2 - dove è stabilito che il digestato agroindustriale prodotto da impianti aziendali o interaziendali alimentati con materiali e sostanze diversi da quelli indicati dall'art. 22, comma 1, non può essere utilizzato agronomicamente ed il suo impiego rientra nell'ambito di applicazione della Parte Quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 - e quanto indicato nel sucessivo comma 3 del medesimo articolo 29, il quale stabilisce che gli impianti di trattamento non conformi ai requisiti previsti operano ai sensi della Parte Quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, anche sotto il profilo delle autorizzazioni.
Alla luce di quanto sopra rappresentato, si ritiene, dunque, che le disposizioni contenute nella legge regionale in esame contrastino con la normativa ambientale sia in materia di autorizzazione agli impianti, in quanto stabiliscono deroghe non ammissibili de jure condito, e sia in materia di sottoprodotti di cui all'articolo 184-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006-
Ulteriori contrasti potrebbero derivare altresì dalle norme tecniche sulla utilizzazione agronomica del digestato.
Conclusivamente va ricordato in tal contesto, che il Giudice delle Leggi, nell'affermare che l'ambiente è una materia "trasversale" in quanto afferente a piu' livelli di tutela, non ha mancato di ricordare che spettano comunque "allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale (fr., da ultimo, sentenze n. 507 e n. 54 del 2000, n. 382 del 1999, n. 273 del 1998)" (Corte Costituzionale, sent. 407/2002).
L'esistenza, dunque, di uno specifico limite all'esercizio del potere normativo delle Regioni in materia ambientale è stato altresì ribadito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 378/2007, ove si legge testualmente: "La potestà 'di disciplinare l'ambiente nella sua interezza è stato affidato, in riferimento al riparto delle competenze tra Stato e Regioni, in via esclusiva allo Stato, dall'art. 117, comma secondo, lettera s), della Costituzione, il quale, come è noto parla di "ambiente" in termini generali e onnicomprensivi ".
Non è da trascurare che la norma costituzionale pone accanto alla parola "ambiente" la parola "ecosistema". Ne consegue che spetta allo Stato disciplinare l'ambiente come una entità organica, dettare cioè delle norme di tutela che hanno ad oggetto il tutto e le singole componenti considerate come parti del tutto.
Alla luce di quanto fin qui rappresentato e del quadro normativo eurounitario e statale; la legge regionale n. 13 del 2020 è da ritenersi in contrasto con il parametro costituzionale di cui al secondo comma, lettera s), dell'art. 117 Cost., in quanto essa interviene in una materia, quella della (Tale disciplina, «in quanto appunto rientrante principalmente nella tutela dell'ambiente, e dunque in una materia che, per la molteplicità dei settori di intervento, assume una struttura complessa, riveste un carattere di pervasività rispetto anche alle attribuzioni regionali» (sentenza n. 249 del 2009), con la conseguenza che, la disciplina statale «costituisce, anche in attuazione degli obblighi comunitari, un livello di tutela unforme e si impone sull 'intera territorio nazionale, come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza, per evitare che esse deroghino al livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato, ovvero lo peggiorino» (sentenze n. 58 del 2015, n. 314 del 2009, n. 62 del 2008 e n. 378 del 2007).

Per, i motivi esposti, e necessario impugnare la norma dinanzi alla Corte Costituzionale, limitatamente all' articolo 3, comml e 4, per violazione dell'articolo 117, comma 2, lett. s)Cost., in riferimento ai parametri statali ed eurounitari citati.
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