Dettaglio legge regionale
Titolo | Ulteriori modifiche alla legge regionale 14 novembre 2011, n. 21 (Disposizioni regionali in materia di multifunzionalità dell’azienda agricola e diversificazione in agricoltura). |
---|---|
Regione | Marche |
Estremi | Legge n. 7 del 31-03-2022 |
Bur | n. 26 del 07-04-2022 |
Settore | Politiche infrastrutturali |
Delibera C.d.M. | 06-06-2022 / Non impugnata |
La legge regionale, che apporta modifiche alla legge regionale 14 novembre 2011, n. 21 (Disposizioni regionali in materia di multifunzionalità dell’azienda agricola e diversificazione in agricoltura) è censurabile relativamente alle disposizioni contenute negli articoli 4, 14 e 15 , che, per i motivi sotto illustrati, si pongono in contrasto con gli articoli 3, 9 e 117, secondo comma lettera s) e terzo comma della Costituzione. In particolare: 1. L’articolo 4 della legge regionale in esame sostituisce l’articolo 5 della legge regionale n. 21 del 2011. In particolare, il comma 3 del nuovo articolo 5 stabilisce che: “La capacità ricettiva dell'ospitalità in spazi aperti opportunamente attrezzati per la sosta non può essere superiore a venticinque piazzole purché la Superfice agricola Utilizzabile (SAU) in cui l’azienda esercita l’attività agrituristica consista in almeno tre ettari contigui”. Il successivo comma 5 dispone, poi, che “Riguardo la tipologia di ospitalità di cui al comma 3 è consentito mettere a disposizione, da parte dell'operatore agrituristico, strutture amovibili, come case mobili, caravan, camper, tende, tende glamping, case sugli alberi, alloggi in botti e simili a condizione che le strutture e attrezzature utilizzate non siano stabilmente collegate al terreno e che siano di facile rimozione. Le strutture amovibili elencate in questo comma non sono soggette a permesso di costruire, né a denuncia di inizio attività, a condizione che conservino i meccanismi di rotazione in funzione, non possiedano alcun collegamento permanente con il terreno e gli allacciamenti alle reti tecnologiche di adduzione e di smaltimento, siano rimovibili in qualsiasi momento. Le tende e le lodge devono essere realizzate con materiali smontabili e trasportabili”. Quest’ultima previsione risulta in contrasto con quanto stabilito dall’articolo 3, comma 1, lett. e.5), del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (“Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia”), ove si prevede che costituiscono interventi di nuova costruzione “l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulotte, camper, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee o delle tende e delle unità abitative mobili con meccanismi di rotazione in funzione, e loro pertinenze e accessori, che siano collocate, anche in via continuativa, in strutture ricettive all’aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, che non posseggano alcun collegamento di natura permanente al terreno e presentino le caratteristiche dimensionali e tecnico-costruttive previste dalle normative regionali di settore ove esistenti”. La previsione normativa da ultimo richiamata stabilisce chiaramente che “l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulotte, camper, case mobili” e simili costituisce nuova costruzione e, come tale, è soggetta al rilascio del permesso di costruire, a eccezione delle sole ipotesi tassativamente indicate dalla medesima disposizione e, in particolare delle strutture amovibili, corrispondenti ai requisiti indicati, che siano “collocate, anche in via continuativa, in strutture ricettive all'aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico”. L’esonero dal titolo edilizio, pertanto, richiede che: (i) i manufatti siano collocati in strutture ricettive, e non nell’ambito di aziende agricole che esercitino attività agrituristiche; (ii) che le predette strutture ricettive siano autorizzate, a loro volta, sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico. In mancanza, le opere costituiscono nuova costruzione e, pertanto, sono subordinate al rilascio del permesso di costruire, ai sensi dell’articolo 10, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001. Seppure l’articolo 2, comma 2, della L. 96/2006 Disciplina dell’agriturismo, rubricato “ Definizione di attività agrituristiche” preveda che: «Per attività agrituristiche si intendono le attività di ricezione e ospitalità esercitate dagli imprenditori agricoli….», l’attività agrituristica disciplinata dalle norme regionali in parola viene svolta – in base agli articoli 3, comma 1, e 11 della legge regionale n. 21 del 2011 – nell’ambito di un’impresa agricola. La circostanza che tale impresa sia autorizzata a svolgere anche “l’ospitalità in spazi aperti opportunamente attrezzati per la sosta” (ai sensi dell’articolo 3, comma 2, lett. b), della legge regionale n. 21 del 2011) non la trasforma per ciò solo in una struttura ricettiva, tanto meno in una struttura autorizzata a svolgere attività ricettiva all’aperto e autorizzata, a tal fine, sotto il profilo edilizio, urbanistico e paesaggistico. I titoli edilizi e paesaggistici di cui l’impresa agricola è in possesso sono infatti esclusivamente quelli relativi alla realizzazione di manufatti rurali strumentali all’attività agricola, e tali titoli, per loro natura, non riguardano la trasformazione permanente delle aree agricole, mediante la collocazione sul terreno di manufatti destinati all’ospitalità di persone. Non può pertanto ritenersi applicabile l’eccezione prevista dall’articolo 3, comma 1, lett. e.5), del d.P.R. n. 380 del 2001, secondo il quale non costituiscono interventi di nuova costruzione i manufatti diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee o delle tende e delle unità abitative mobili con meccanismi di rotazione in funzione, e loro pertinenze e accessori, che siano collocati , anche in via continuativa, in strutture ricettive all’aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico. La norma regionale infatti consente di realizzare indebitamente nuove volumetrie ricettive in area agricola. Peraltro, in riferimento alle strutture ricettive all’aperto (e non, si ripete, con riguardo alle imprese agricole o agrituristiche), la legge statale consente l’installazione di “tende e delle unità abitative mobili con meccanismi di rotazione in funzione, e loro pertinenze e accessori”, e non, come invece fa la norma in esame di “case mobili, caravan, camper, tende, tende glamping, case sugli alberi, alloggi in botti e simili”. La Regione estende, quindi, anche la tipologia di manufatti oggetto dell’eccezione, spingendosi fino a introdurre l’inciso “e simili”, in modo da rinviare a una categoria aperta di manufatti della più varia tipologia, senza alcuna predeterminazione, per i quali è previsto l’esonero dal titolo edilizio. Non solo non vengono rispettate le condizioni sopra richiamate, inserendo nuove tipologie di interventi tra quelli rientranti nell’edilizia libera, ma addirittura si introduce una norma in bianco di carattere indeterminato, che consente eventualmente di qualificare come attività di edilizi liberi interventi secondo l’intento del singolo operatore. Tra l’altro, la disposizione regionale prevede che le strutture in parola siano “amovibili”, ma non caratterizzate dalla temporaneità. La astratta amovibilità non esclude la concreta e stabile permanenza dei manufatti, i quali costituiscono a tutti gli effetti strutture edilizie poste a estensione dell’agriturismo. La disposizione regionale in esame collide dunque frontalmente con la legge statale in materia edilizia. Non spetta alla Regione, infatti, disciplinare i casi e limiti nei quali le opere sono soggette a permesso di costruire, atteso che l’articolo 6, comma 6, del d.P.R. n. 380 del 2001 stabilisce che le regioni a statuto ordinario possono estendere la disciplina dell’attività edilizia libera a ulteriori interventi, esclusi quelli soggetti a permesso di costruire o a segnalazione certificata di inizio attività alternativa al permesso di costruire. D’altro canto, la previsione normativa arreca anche un concreto pregiudizio all’assetto del territorio e alla tutela del paesaggio agrario, in quanto, qualificando come attività edilizia libera l’installazione in aree agricole di “strutture amovibili, come case mobili, caravan, camper, tende, tende glamping, case sugli alberi, alloggi in botti e simili”, pone nel nulla i limiti alla realizzazione di volumi edilizi nelle zone agricole stabiliti dalla pianificazione urbanistica, nel rispetto del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, ove si prevede che nelle zone E (agricole) “è prescritta per le abitazioni la massima densità fondiaria di mc. 0,03 per mq” (articolo 7, n. 4). Per le ragioni sin qui esposte, l’articolo 5, comma 5, della legge regionale n. 21 del 2011, come introdotto dall’articolo 4, comma 1, della legge regionale n. 7 del 2022 si pone, pertanto, in contrasto con l’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, rispetto al quale costituiscono norme interposte l’articolo 3, comma 1, lett. e.5), e l’articolo 6, comma 6, del d.P.R. n. 380 del 2001, nonché l’articolo 7, n. 4, del decreto ministeriale n. 1444 del 1968, emanato in attuazione dell’articolo 41-quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150. La previsione arreca, inoltre, un pregiudizio potenzialmente grave al paesaggio agrario, consentendo la proliferazione incontrollata sul territorio agricolo di manufatti di diversa natura e tipologia, dei quali si prevede la libera collocazione al di fuori delle regole della pianificazione. Tale pregiudizio non è escluso dall’eventuale richiesta dell’autorizzazione paesaggistica riferita alla singola opera, atteso che il titolo verrebbe ad essere rilasciato senza una valutazione complessiva del contesto territoriale, quale è demandata tipicamente al piano paesaggistico, ai sensi degli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. Al riguardo, deve infatti ricordarsi che la Corte costituzionale ha avuto modo di affermare anche di recente, richiamando la propria giurisprudenza, l’illegittimità costituzionale di una previsione di legge regionale parimenti disancorata dal quadro della pianificazione paesaggistica. In particolare, si è evidenziato che “La legge regionale, consentendo interventi parcellizzati, svincolati da una coerente e stabile cornice normativa di riferimento, trascura l’interesse all’ordinato sviluppo edilizio, proprio della pianificazione urbanistica, e così danneggia «il territorio in tutte le sue connesse componenti e, primariamente, nel suo aspetto paesaggistico e ambientale» (sentenza n. 219 del 2021, punto 4.2. del Considerato in diritto)».” (Corte cost.. n. 24 del 2022, punto 6.5.2. del Considerato in diritto). Sono quindi violati anche gli articoli 9 e articolo 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione, rispetto ai quali costituiscono norme interposte le già richiamate disposizioni degli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. L'articolo 14 della legge in parola ha modificato l’art. 16 della legge regionale n. 21 del 2011. In particolare, il previgente comma 1 del citato articolo 16 prevedeva: “Per l'esercizio delle attività agrituristiche possono essere utilizzati sia i fabbricati a destinazione abitativa, esclusi quelli di categoria di lusso, sia i fabbricati strumentali all'attività agricola, esistenti sul fondo ed edificati da almeno dieci anni. Per determinare la data di edificazione dei fabbricati realizzati dopo il 1967, si considera l’anno in cui è stata conseguita l’abitabilità o l’agibilità”. La novella ora introdotta ha eliminato l’inciso “ed edificati da almeno dieci anni. Per determinare la data di edificazione dei fabbricati realizzati dopo il 1967, si considera l’anno in cui è stata conseguita l'abitabilità o l’agibilità”. Inoltre viene soppresso il comma 1-bis, che conteneva una previsione di tipo eccezionale rispetto alla regola sancita dal primo comma: “Il limite dei dieci anni previsto al comma 1 non si applica alle attività agrituristiche svolte in uno dei comuni ricadenti nelle Aree interne, cosi come individuate ai sensi dell’articolo 1, commi 13, 14, 15, 16 e 17 della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2014)”. Il nuovo comma 1 dell’articolo 16 della legge regionale n. 21 del 2011 è censurabile in primo luogo perché ciò che prima costituiva eccezione, giustificata per la particolare natura delle aree interne, diventa regola indiscriminata e senza una ragionevole e plausibile motivazione. L’originaria previsione consentiva infatti di destinare ad agriturismo solo manufatti esistenti da almeno dieci anni, mentre adesso l’eliminazione di questo limite fa sì che si possa anche costruire un manufatto rurale ad hoc per poi immediatamente dopo destinarlo ad attività ricettiva. Ciò determina il rischio di una indiscriminata proliferazione di volumetrie in aree agricole. E questo per di più in una Regione sfornita al momento di piano paesaggistico (e nella quale il processo di concertazione finalizzato agli accordi con la Regione ai fini della pianificazione non sembra procedere). Con tale norma, dunque, la Regione pone in modo unilaterale le condizioni per la creazione di nuova volumetria in aree rurali, al di fuori e prima che sia discussa e condivisa la valutazione congiunta, sotto il profilo paesaggistico, in riferimento all’ordinato governo del territorio la modifica indiscriminata delle destinazioni d’uso nelle aree rurali, anche con riguardo a manufatti appena edificati a servizio dell’uso agricolo del fondo. La previsione determina anche la manifesta violazione dei limiti all’edificazione nelle zone agricole, stabiliti dagli strumenti urbanistici, nel rispetto di quanto previsto all’articolo 7, n. 4, del decreto ministeriale n. 1444 del 1968, emanato in attuazione dell’articolo 41-quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150. Risultano pertanto lesi i principi di ragionevolezza, di tutela del paesaggio e di pianificazione nel governo del territorio rispettivamente contenuti negli articoli 3, 9, e 117, secondo comma, lett. s) - attraverso la violazione dei parametri interposti rappresentati dagli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 - e 117, comma 3 della Costituzione. Va poi evidenziato che lo stesso articolo 14 della legge in parola modifica il comma 3 del citato articolo 16 della legge regionale n. 21 del 2011. In particolare, dopo le parole: “Gli edifici utilizzati per l’attività agrituristica sono assimilabili a ogni effetto alle abitazioni rurali, ai sensi dell’articolo 3 della legge 96/2006” sono state aggiunte le parole “e l'esercizio dell’attività agrituristica, ai sensi di questa legge, non comporta, in ogni caso, il cambio di destinazione d'uso dei locali e dei manufatti aziendali impiegati”. Al riguardo pare opportuno richiamare quanto previsto dall’articolo 23-ter del Testo Unico dell’Edilizia, in base al quale: (i) Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali, costituisce mutamento rilevante della destinazione d'uso ogni forma di utilizzo dell'immobile o della singola unità immobiliare diversa, da quella originaria, ancorché non accompagnata dall'esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l’assegnazione dell'immobile o dell'unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle sotto elencate: a) residenziale; a-bis) turistico-ricettiva; b) produttiva e direzionale; c) commerciale; d) rurale. (ii) La destinazione d'uso dell’immobile o dell'unità immobiliare è quella stabilita dalla documentazione di cui all'articolo 9-bis, comma 1-bis. (iii) Le regioni adeguano la propria legislazione ai principi di cui al presente articolo entro novanta giorni dalla data della sua entrata in vigore. Decorso tale termine, trovano applicazione diretta le disposizioni del presente articolo. Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali e degli strumenti urbanistici comunali, il mutamento della destinazione d'uso all’interno della stessa categoria funzionale è sempre consentito”. La previsione regionale risulta non in linea con la disciplina statale di principio sopra richiamata, considerato che le attività agrituristiche sono molto variegate e che se un manufatto rurale viene adibito a ospitare persone sembra difficile ritenere che non si sia transitato in una destinazione turistico-ricettiva o almeno residenziale. D’altro canto, la potestà delle regioni nell’adattare le tipologie di destinazioni d’uso stabilite dalla legge statale non può spingersi fino a negare in toto ogni rilevanza urbanistica a trasformazioni del territorio che, invece, manifestamente sono significative sotto questo profilo. In conclusione la disposizione regionale in parola risulta affetta da illegittimità costituzionale, in quanto: - prevedendo trasformazioni del territorio, anche vincolato, al di fuori di qualunque disegno pianificatorio, violano il principio, sotteso agli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, che impone la pianificazione sotto il profilo paesaggistico di tutto il territorio regionale e, inoltre, la necessaria co-pianificazione con lo Stato (almeno) della disciplina d’uso dei beni sottoposti a vincolo paesaggistico; vengono consentiti, quindi, interventi parcellizzati idonei a danneggiare il territorio in tutte le sue connesse componenti e, primariamente, nel suo aspetto paesaggistico e ambientale (Corte cost. n. 219 del 2021 e n. 24 del 2022); da ciò la violazione dell’articolo 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione, rispetto al quale le disposizioni sopra richiamate costituiscono norme interposte; - permettendo di realizzare strumentalmente manufatti rurali (non computati, quindi, nelle volumetrie edilizie) che possono essere poi immediatamente trasformati in locali destinati a ospitare persone, introducono una disciplina manifestamente irragionevole e che sacrifica ingiustificatamente l’interesse alla tutela del paesaggio, avente valore primario e assoluto, rispetto a meri interessi economici privati; da ciò la violazione degli articoli 3 e 9 della Costituzione; - consentendo la destinazione indiscriminata di manufatti rurali a destinazioni abitative e ricettive si pongono in contrasto con i principi fondamentali in materia di governo del territorio contenuti all’articolo 23-ter del d.P.R. n. 380 del 2001 (ove il passaggio dalla destinazione “rurale” a quella “residenziale” o “turistico-ricettiva” sono considerati come urbanisticamente rilevanti) e all’articolo 7, n. 4, del decreto ministeriale n. 1444 del 1968, emanato in attuazione dell’articolo 41-quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150, che limita la possibilità di realizzare in zona agricola edifici a destinazione abitativa; da ciò la violazione dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione 2. L’articolo 15 della legge regionale in esame sostituisce l’articolo 18 della legge regionale n. 21 del 2011. L’articolo recita testualmente: l’articolo 18 della legge regionale n. 21 del 2011 è sostituito dal seguente: Art. 18 (Barriere architettoniche) 1. La conformità degli edifici destinati all'esercizio dell’attività agrituristica alle norme in materia di accessibilità e superamento delle barriere architettoniche è assicurata con opere provvisionali rispondenti alla vigente normativa tecnica e compatibili con le caratteristiche di ruralità degli edifici stessi. 2. In ogni caso, al fine di garantire alle persone disabili la fruizione delle strutture e dei servizi connessi alle attività agrituristiche, per le strutture che esercitano l'attività di ricezione e di ospitalità che abbiano un numero di posti letto inferiore o pari a 25 devono essere garantiti i requisiti di accessibilità ad almeno una camera dotata di servizio igienico, per quelle che abbiano un numero di posti letto superiore a 25, devono essere garantiti i requisiti di accessibilità ad almeno due camere dotate di servizi igienici. Qualora l'attività esercitata sia di somministrazione di pasti e bevande, devono anche essere garantiti i requisiti di accessibilità alla sala ristorazione e ad un servizio igienico. 3. Il Comune può consentire la deroga alla disposizione di cui al comma 2 qualora sia dimostrata l’impossibilità tecnica, connessa agli elementi strutturali e impiantistici o per la presenza di fabbricati di particolare pregio architettonico, dell’abbattimento delle barriere architettoniche e dell’adeguamento dei locali per l'accoglienza delle persone con disabilità fisica. 4. Fermo restando quanto previsto dal comma 1, sono esonerate dagli obblighi di cui al comma 2 le strutture agrituristiche che abbiano una disponibilità di posti letto inferiore a sei ed ubicate nelle zone montane. In via preliminare si sottolinea che il quadro normativo statale finalizzato a favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati, pubblici e privati aperti al pubblico è contenuto nella Parte Il, Capo III, Sezioni I e Il del d.P.R. n. 380/2001. In particolare, in base al dettato dell’articolo 82, commi 1 e 2 del predetto d.P.R.: 1. Tutte le opere edilizie riguardanti edifici pubblici e privati aperti al pubblico che sono suscettibili di limitare l'accessibilità e la visitabilità di cui alla sezione prima del presente capo, sono eseguite in conformità alle disposizioni di cui alla legge 30 marzo 1971, n. 118, e successive modificazioni, alla sezione prima del presente capo, al regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1996, n. 503, recante norme per l’eliminazione delle barriere architettoniche, e al decreto del Ministro dei lavori pubblici 14 giugno 1989, n. 236. 2. Per gli edifici pubblici e privati aperti al pubblico soggetti ai vincoli di cui al decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, nonché ai vincoli previsti da leggi speciali aventi le medesime finalità, nel caso di mancato rilascio del nulla osta da parte delle autorità competenti alla tutela del vincolo, la conformità alle norme vigenti in materia di accessibilità e di superamento delle barriere architettoniche può essere realizzata con opere provvisionali, come definite dall'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 7 gennaio 1956, n. 164, sulle quali sia stata acquisita l’approvazione delle predette autorità.” Ai sensi del comma 6 di detto articolo 82 del d.P.R. n. 380 del 2001 “tutte le opere realizzate negli edifici pubblici e privati aperti al pubblico in difformità dalle disposizioni vigenti in materia di accessibilità e di eliminazione delle barriere architettoniche, nelle quali le difformità siano tali da rendere impossibile l'utilizzazione dell'opera da parte delle persone handicappate, sono dichiarate inagibili”. Il sopradescritto quadro normativo statale di riferimento è ascrivibile alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), Cost. Con sentenza n. 111 del 2014, dichiarativa dell’illegittimità costituzionale dell’articolo 26, comma 1, della legge della Regione autonoma Valle d’Aosta n. 8 del 2013, per violazione dell’articolo 117, secondo comma, lettera m) Cost., la Corte costituzionale ha avuto modo di precisare quanto segue: “7.3. – La norma impugnata, pur inserendosi in un più ampio contesto normativo riconducibile al governo del territorio, attiene invece ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), Cost. Secondo la giurisprudenza costituzionale “questo titolo di legittimazione dell’intervento statale è invocabile in relazione a specifiche prestazioni delle quali la normativa statale definisca il livello essenziale di erogazione” [...], nonché quando la normativa al riguardo fissi, appunto, livelli di prestazioni da assicurare ai fruitori dei vari servizi”[...], attribuendo al legislatore statale un fondamentale strumento per garantire il mantenimento di una adeguata uniformità di trattamento sul piano dei diritti di tutti i soggetti, pur in un sistema caratterizzato da un livello di autonomia regionale e locale decisamente accresciuto [...]. Si tratta, pertanto, non tanto di una “materia” in senso stretto, quanto di una competenza del legislatore statale idonea ad investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull’intero territorio nazionale, il godimento delle prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle”. (Sentenza n. 207 del 2012. “7.4 – Ebbene, la norma impugnata deroga la disciplina statale di cui all’articolo 82, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001, la quale stabilisce che tutte le opere edilizie che riguardano edifici pubblici ed edifici privati aperti al pubblico, rispetto ai quali è di fatto limitata l’accessibilità e la visitabilità da parte dei portatori di handicap, devono essere eseguite in conformità alla normativa vigente in materia di eliminazione e di superamento delle barriere architettoniche”. “7.5 – l’articolo censurato, dunque, viola la potestà legislativa esclusiva statale in ordine alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, con riguardo all’attuazione dei diritti delle persone portatrici di handicap”. (cfr. anche Corte cost., sentenza n. 272 del 2016, punti 2 e 2.1 del Considerato diritto). Ciò premesso, si osserva che la disposizione regionale in esame si pone in contrasto con le citate previsioni statali in materia di superamento delle barriere architettoniche negli edifici privati, pubblici e privati aperti al pubblico in quanto: - al comma 1, consente, in via generale, che la conformità degli edifici destinati all'esercizio dell'attività agrituristica alle norme in materia di accessibilità e superamento delle barriere architettoniche sia assicurata con opere provvisionali; - al comma 2, primo periodo, laddove stabilisce che per le strutture che esercitano l'attività di ricezione e di ospitalità e che abbiano un numero di posti letto inferiore o pari a 25 devono essere garantiti i requisiti di accessibilità ad almeno una camera dotata di servizio igienico e, per quelle che abbiano un numero di posti letto superiore a 25, devono essere garantiti i requisiti di accessibilità ad almeno due camere dotate di servizi igienici; - al comma 3 prevede la possibilità per il Comune di derogare alle previsioni di cui al comma 2, ivi compreso al secondo periodo che, diversamente dal primo periodo, appare coerente con la disciplina statale; - al comma 4, esclude l’applicazione degli obblighi di cui al predetto comma 2 alle strutture agrituristiche che abbiano una disponibilità di posti letto inferiore a sei ed ubicate in zone montane. Al riguardo si precisa che l’art. 82 del d.P.R. n. 380/2001 contiene specifiche prescrizioni ed espressi e tassativi casi di deroga alla disciplina in materia di barriere architettoniche (cfr. d.P.R. 24 luglio 1996, n. 503 “Regolamento recante norme per l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici, spazi e servizi pubblici” (nel caso di specie, in particolare, articoli 19, 20 e 21) e D.M. 14 giugno 1989 n. 236 “Prescrizioni tecniche necessarie a garantire l'accessibilità, l'adattabilità e la visitabilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata e agevolata, ai fini del superamento e dell’eliminazione delle barriere architettoniche” (nel caso di specie, in particolare, articoli 3, 5 e 7) tra i quali, però, non rientrano le ipotesi contemplate dalla sopra menzionata norma regionale. Ne deriva che avendo il legislatore regionale introdotto nell’ordinamento giuridico disposizioni relative all’abbattimento e/o riduzione delle barriere architettoniche non conformi alla disciplina statale e casi di deroga diversi da quelli previsti dalla disciplina statale che costituisce norma interposta la cui violazione integra il contrasto con l’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, che riserva alla competenza legislativa dello Stato la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio regionale. La legge regionale deve quindi essere impugnata, limitatamente alle disposizioni sopra evidenziate, ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione. 2. L’articolo 14 della legge in esame reca modifiche all’articolo 16 della legge regionale n. 21 del 2011. 2.1. In particolare, il previgente comma 1 del citato articolo 16 prevedeva: “Per l’esercizio delle attività agrituristiche possono essere utilizzati sia i fabbricati a destinazione abitativa, esclusi quelli di categoria di lusso, sia i fabbricati strumentali all’attività agricola, esistenti sul fondo ed edificati da almeno dieci anni. Per determinare la data di edificazione dei fabbricati realizzati dopo il 1967, si considera l’anno in cui è stata conseguita l’abitabilità o l’agibilità”. La novella ora introdotta dal comma 1 dell’articolo 14 della legge regionale n. 7 del 2022 ha eliminato l’inciso “ed edificati da almeno dieci anni. Per determinare la data di edificazione dei fabbricati realizzati dopo il 1967, si considera l’anno in cui è stata conseguita l’abitabilità o l’agibilità”. Viene inoltre soppresso (ad opera del comma 2 dell’articolo 14 della legge regionale n. 7 del 2022) il comma 1-bis dell’articolo 16 della legge regionale n. 21 del 2011, che conteneva una previsione di tipo eccezionale rispetto alla regola sancita dal primo comma: “Il limite dei dieci anni previsto al comma 1 non si applica alle attività agrituristiche svolte in uno dei comuni ricadenti nelle Aree interne, cosi come individuate ai sensi dell’articolo 1, commi 13, 14, 15, 16 e 17 della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)”. Il nuovo comma 1 dell’articolo 16 della legge regionale n. 21 del 2011 desta particolare perplessità, perché ciò che prima costituiva eccezione, giustificata per la particolare natura delle aree interne, diventa regola indiscriminata e senza una ragionevole e plausibile motivazione. L’originaria previsione consentiva infatti di destinare ad agriturismo solo manufatti esistenti da almeno dieci anni, mentre adesso l’eliminazione di questo limite fa sì che si possa anche costruire un manufatto rurale ad hoc per poi immediatamente dopo destinarlo ad attività di ricezione e ospitalità. Ciò determina il rischio di una indiscriminata proliferazione di volumetrie in aree agricole. E questo per di più in una Regione sfornita al momento di piano paesaggistico (e nella quale il processo di concertazione già avviato a tal fine con lo Stato, ai sensi degli articoli 135 e 143 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, non sembra procedere). Con tale disposizione, dunque, la Regione pone in modo unilaterale le condizioni per la creazione di nuova volumetria urbanisticamente rilevante in aree rurali, al di fuori e prima che sia discussa e condivisa la valutazione congiunta, sotto il profilo paesaggistico, in riferimento all’ordinato assetto del territorio. Nella nota di controdeduzioni la Regione Marche sostanzialmente conferma il rilievo del Ministero, tanto che, per giustificare la propria illegittima scelta, si appella alla situazione pandemica, alla guerra, all’aumento del costo delle materie prime alimentari utilizzate negli allevamenti zootecnici; argomentazioni manifestamente inconferenti. La pandemia o la situazione internazionale non giustificano, infatti, scelte improvvisate e derogatorie della pianificazione, al di fuori delle competenze assegnate alla Regione. Le esigenze di ordinato assetto del territorio, comprese quelle di tutela paesaggistica, non sono giuridicamente condizionate da eventi contingenti, sia per la loro intrinseca natura, sia perché discendono da principi costituzionali. Come peraltro ricordato di recente dal Giudice amministrativo, con riferimento al tema del rapporto tra tutela del patrimonio culturale e stato di emergenza pandemica, in primo luogo “le esigenze di tutela non sono certo venute meno per il solo fatto che si è verificato un evento pandemico di rilevanza mondiale; in secondo luogo va detto che le misure di sostegno a favore degli operatori economici, colpiti dagli effetti della pandemia, sono varie e molteplici” (TAR Marche, sentenza n. 311 del 2022). Va poi evidenziato che il comma 3 dell’articolo 14 della legge regionale n. 7 del 2022 modifica il comma 3 del citato articolo 16 della legge regionale n. 21 del 2011. In particolare, dopo le parole: “Gli edifici utilizzati per l’attività agrituristica sono assimilabili a ogni effetto alle abitazioni rurali, ai sensi dell’articolo 3 della legge 96/2006” sono state aggiunte le parole “e l’esercizio dell’attività agrituristica, ai sensi di questa legge, non comporta, in ogni caso, il cambio di destinazione d’uso dei locali e dei manufatti aziendali impiegati”. 2.2. Con riguardo a entrambe le disposizioni richiamate, deve osservarsi che le stesse consentono indiscriminati cambi di destinazione d’uso, volti ad adibire qualsiasi manufatto rurale ad attività ricettive e di ospitalità, permettendo persino di edificare manufatti rurali (non computati nelle volumetrie edilizie, soggetti a benefici fiscali ed esonerati dal contributo di costruzione, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, lett. a, del d.P.R. n. 380 del 2001), per poi destinarli immediatamente dopo alle predette attività, che nulla hanno a che vedere con la conduzione del fondo. Tali mutamenti della destinazione d’uso presentano potenzialmente un rilevante impatto sul territorio e sul paesaggio, in quanto, oltre a poter essere associati alla modifica dell’aspetto esteriore dei manufatti rurali e delle loro pertinenze, determinano un incremento dell’antropizzazione dei luoghi e del carico urbanistico. Le previsioni in esame consentono tali trasformazioni in modo parcellizzato, al di fuori di qualsivoglia quadro pianificatorio, tanto meno di quello costituito dalla pianificazione paesaggistica, che è deputata a stabilire ex ante, sulla base di una visione d’insieme, la disciplina d’uso dei beni paesaggistici sottoposti a vincolo, tra i quali spesso rientrano le aree agricole di maggior pregio (cfr. articoli 135 e 143 del Codice dei beni culturali e del paesaggio). Le predette trasformazioni sono, inoltre, manifestamente irragionevoli, in quanto privilegiano indiscriminatamente l’interesse economico privato rispetto alla tutela del paesaggio, che costituisce valore primario e assoluto, ai sensi dell’articolo 9 della Costituzione (Corte cost. n. 367 del 2007). Sotto altro profilo, pare opportuno richiamare quanto previsto dall’articolo 23-ter del Testo Unico dell’Edilizia, in base al quale: “1. Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali, costituisce mutamento rilevante della destinazione d’uso ogni forma di utilizzo dell’immobile o della singola unità immobiliare diversa, da quella originaria, ancorché non accompagnata dall’esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l’assegnazione dell’immobile o dell’unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle sotto elencate: a) residenziale; a-bis) turistico-ricettiva; b) produttiva e direzionale; c) commerciale; d) rurale. 2. La destinazione d’uso dell’immobile o dell’unità immobiliare è quella stabilita dalla documentazione di cui all’articolo 9-bis, comma 1-bis. 3. Le regioni adeguano la propria legislazione ai princìpi di cui al presente articolo entro novanta giorni dalla data della sua entrata in vigore. Decorso tale termine, trovano applicazione diretta le disposizioni del presente articolo. Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali e degli strumenti urbanistici comunali, il mutamento della destinazione d’uso all’interno della stessa categoria funzionale è sempre consentito”. La previsione regionale appare non in linea con la disciplina statale di principio sopra richiamata, considerato che le attività agrituristiche sono molto variegate e che se un manufatto rurale viene adibito a ospitare persone sembra difficile ritenere che non sia transitato in una destinazione turistico-ricettiva o almeno residenziale. D’altro canto, la potestà delle regioni nell’adattare le tipologie di destinazioni d’uso stabilite dalla legge statale non può spingersi fino a negare in toto ogni rilevanza urbanistica a trasformazioni del territorio che, invece, manifestamente sono significative sotto questo profilo. Al riguardo, la Regione nelle controdeduzioni rileva, ma non dimostra, una ipotizzata contraddittorietà dell’osservazione svolta dal Ministero. In particolare la Regione sottolinea che in proposito “rileva quanto stabilito dal catasto relativamente alla categoria D10 – fabbricati per funzioni produttive connesse alle attività agricole, che espressamente ricomprende tra le costruzioni strumentali anche quelle destinate ad attività agrituristiche, come d’altra parte già chiaramente riportato nello stesso testo della legge regionale. In sostanza, è stabilito che «Per l’esercizio delle attività agrituristiche possono essere utilizzati sia i fabbricati a destinazione abitativa, esclusi quelli di categoria di lusso, sia i fabbricati strumentali all’attività agricola, esistenti sul fondo», di fatto qualsiasi intervento successivo su detti immobili non può modificare la loro destinazione d’uso proprio perché rispondono alla condizione di edifici o di abitazione o strumentali. La stessa Agenzia delle Entrate, in più occasioni, ha rilasciato pareri in tal senso; si riporta a titolo di esempio un estratto della nota predisposta dall’Agenzia del Territorio Ufficio Provinciale di Brescia che recita: «Gli immobili classificabili nella categoria D10 in funzione dell’attività agrituristica devono considerarsi: (…) Gli immobili ricompresi all’interno dell’azienda agricola, trasformati ……, destinati alla ricezione ed ospitalità dei clienti nell’ambito dell’attività agrituristica, compresi i locali adibiti ad un utilizzo ricettivo nella stessa abitazione dell’imprenditore agricolo che deve viceversa essere classata in una delle categorie A corrispondenti.”. La citazione del non meglio precisato “catasto” non comporta che possano essere derogate le norme del testo unico dell’edilizia in materia di cambio di destinazione; né a tale fine vale richiamare una nota non meglio identificata né contestualizzata di un ufficio territoriale dell’Agenzia del Territorio, attesa, invece, la netta contrarietà della disposizione regionale con la lettera della legge statale, come sopra richiamata. D’altro canto, la modifica indiscriminata delle destinazioni d’uso nelle aree rurali, anche con riguardo a manufatti appena edificati a servizio dell’uso agricolo del fondo, determina la manifesta violazione dei limiti all’edificazione nelle zone agricole, stabiliti dagli strumenti urbanistici, nel rispetto di quanto previsto all’articolo 7, n. 4, del decreto ministeriale n. 1444 del 1968, emanato in attuazione dell’articolo 41-quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150. 2.3. Le disposizioni dell’articolo 14, comma 1 e comma 3, della legge regionale n. 7 del 2022, che modificano l’articolo 16, commi 1 e 3, della legge regionale n. 21 del 2011 sono manifestamente affetti da illegittimità costituzionale, in quanto: - prevedendo trasformazioni del territorio, anche vincolato, al di fuori di qualunque disegno pianificatorio, violano il principio, sotteso agli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, che impone la pianificazione sotto il profilo paesaggistico di tutto il territorio regionale e, inoltre, la necessaria co-pianificazione con lo Stato (almeno) della disciplina d’uso dei beni sottoposti a vincolo paesaggistico; vengono consentiti, quindi, interventi parcellizzati idonei a danneggiare il territorio in tutte le sue connesse componenti e, primariamente, nel suo aspetto paesaggistico e ambientale (Corte cost. n. 219 del 2021 e n. 24 del 2022); da ciò la violazione dell’articolo 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione, rispetto al quale le disposizioni sopra richiamate costituiscono norme interposte; - permettendo di realizzare strumentalmente manufatti rurali (non computati, quindi, nelle volumetrie edilizie) che possono essere poi immediatamente trasformati in locali destinati a ospitare persone, introducono una disciplina manifestamente irragionevole e che sacrifica ingiustificatamente l’interesse alla tutela del paesaggio, avente valore primario e assoluto, rispetto a meri interessi economici privati; da ciò la violazione degli articoli 3 e 9 della Costituzione; - consentendo la destinazione indiscriminata di manufatti rurali a destinazioni abitative e ricettive si pongono in contrasto con i principi fondamentali in materia di governo del territorio contenuti all’articolo 23-ter del d.P.R. n. 380 del 2001 (ove il passaggio dalla destinazione “rurale” a quella “residenziale” o “turistico-ricettiva” sono considerati come urbanisticamente rilevanti) e all’articolo 7, n. 4, del decreto ministeriale n. 1444 del 1968, emanato in attuazione dell’articolo 41-quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150, che limita la possibilità di realizzare in zona agricola edifici a destinazione abitativa; da ciò la violazione dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione. La legge regionale deve quindi essere impugnata, limitatamente alle disposizioni sopra evidenziate, ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione. |